Partiamo da qui. Partiamo da pagina 151. Entrate in una delle vostre librerie di fiducia, una di quelle che non trovi uguale in nessun altra città. Chiedete al libraio “Breve diario di frontiera” di Gazmend Kapplani e poi apritelo. Andate a pagina 151. Leggetela. Più di ogni altra recensione che leggerete qui o altrove, più di ogni parere, commento, opinione, più di qualsiasi altro tentativo maldestro di spiegarvi questo libro, più di tutto e tutti questa pagina vi dirà chiaramente cosa vi dovrete aspettare dall’opera di Kapplani.
Ora però presumiamo che voi non abbiate il libro sotto mano e presumiamo che siate così curiosi di sapere di che parla da venire a leggere la mia recensione. Con una premessa del genere mi sembra giusto dire due parole in merito a “Breve diario di frontiera“.
Da qualche parte, qualche tempo fa, avevo letto che dire di un libro che dovrebbe essere letto a scuola è una cazzata. Non ricordo di preciso l’idea che cercava di articolare l’autore di questo pezzo perché ad un certo punto ho smesso di leggere. Più o meno doveva riferirsi al fatto che un libro, secondo il suo parere, se lo si consiglia per il potere istruttivo che ha, è un pessimo libro. Fatico ad essere d’accordo con questa affermazioni.
Mi trovo nell’imbarazzo di dover dire che il libro di Kapplani andrebbe letto “anche” a scuola. Mi augurerei che attraverso lo strumento della narrazione, nelle teste dei nostri figli, entrasse anche qualche messaggio positivo. Ma più che a scuola, Kapplani andrebbe distribuito con il giornale, messo nelle sale d’attesa degli studi dentistici e medici, venduto ai semafori, fuori delle discoteche, in Parlamento, spedito a campione, lasciato sulle panchine, appena fuori dai supermercati, in piazza tra i piccioni, al mare sotto l’ombrellone, in chiesa (oh sì soprattutto in chiesa).
Questo libro racconta cosa significa essere un profugo. Racconta cosa significa essere costretti a lasciare il proprio paese in cerca di fortuna, non essere più abitanti del luogo natio, ma nemmeno abitanti del paese in cui si cerca conforto. Racconta cosa significa essere invisibili, essere derisi, essere giudicati per quello che si presume si rappresenti. E’ un libro che non si crogiola nel sentimentalismo, nella ricerca della facile pietà, è un libro che racconta ciò che Gazmend Kapplani ha vissuto sulla propria persona scappando dall’Albania.
Vogliamo essere buonisti e dire che tutti i profughi sono brave persone? No. Non tutti i profughi sono brave persone, nemmeno tutti i vostri vicini di casa italianissimi lo sono. Non c’è traccia di buonismo in questo libro, non c’è giudizio, c’è un racconto estremamente lucido, una materia trattata con apparente distacco. Non si cercano i colpi ad effetto, non si distribuiscono colpe e meriti. Kapplani ha scritto una storia che, proprio in virtù dello stile e dell’approccio scelto, la rendono una storia che colpisce e si annida in profondità.
Da un lato ci racconta la fuga dal proprio paese. Gli anni bui della dittatura, la speranza nella fuga, la ricerca di un posto al mondo. Dall’altro racconta quello che succede dopo, quando comunque, pur avendocela fatta, sei per tutti un “altro”, uno che non è nato dove ha deciso di vivere. Racconta anche il rapporto con le generazioni successive, quelle che non sentono il distacco, quelle che non possono capire. “Breve diario di frontiera” rende il profugo un essere umano che non può più essere compreso, forse nemmeno da se stesso.
Ringrazio Del Vecchio editore per aver messo sulla mia strada questo libro. Uno di quei libri che un po’ ti fa crescere.
La traduzione è ad opera di Maurizio de Rosa. Davvero ottima. Vi consiglio poi di gustarvi anche il suo intervento finale. Davvero illuminante.
Gazmend Kapplani è nato a Lushnjë, in Albania, nel 1967. Nel gennaio del 1991, dopo la caduta del regime totalitario albanese, ha raggiunto la Grecia a piedi insieme ad altri migranti. Per sopravvivere vi ha svolto tutti i mestieri: manovale, lavapiatti, edicolante. Si è laureato in lettere presso l’Università Statale Giovanni Capodistria di Atene e ha svolto la tesi di dottorato presso l’Università Pantio di Atene, dove ha anche insegnato Storia e Cultura dell’Albania moderna. È stato editorialista dell’autorevole quotidiano ateniese “Ta Nea”. Nel 2012 è stato Fellow del Radcliffe Institute dell’Università di Harvard. Vive tra l’Europa e gli Stati Uniti, dove insegna Letteratura e Storia europea.