La prima cosa che salta all’occhio è che “Un irlandese in America” è un diario che sfocia nella narrativa, che ha in sé delle tracce di arte figurativa e che in fin dei conti è semplicemente un libro speciale. Speciale perché vi terrà una compagnia del diavolo, vi farà precipitare in un tempo e in un luogo in cui, nonostante tutto, sembrava che il futuro ci fosse e non fosse poi così spaventoso. Speciale perché la voce di Brendan Behan è eccezionalmente lucida, precisa, terribilmente ironica e da la sensazione di accompagnare uno sguardo quasi adolescenziale.
Attraverso le sue parole veniamo a scoprire una New York che non esiste più, dei luoghi famosi ormai chiusi oppure con un presente che non regge il paragone con il glorioso passato. Ma Behan racconta anche una sorta di nazione all’interno di un’altra nazione. Racconta gli irlandesi che si trovano con lui a New York e non c’è compiacenza nel farlo, si limita a descrivere i rapporti con i suoi compatrioti senza mascherarli. “Un irlandese in America” è decisamente un libro onesto in quello che racconta. Inoltre, il tono colloquiale, quel vezzo di rivolgersi direttamente al lettore ci fa diventare complici di Behan, ci fa vivere gli avvenimenti dall’interno. Al punto che mi sono chiesto quanto mi sarei divertito ad essere uno dei compagni di sbronze del buon irlandese.
66thand2nd è una delle mie case editrici preferite. Entra nella mia top five personale. Non ne ho mai fatto mistero. Quando un editore propone un libro deve donargli il giusto abito. Deve creare un prodotto che sia rispettoso di chi lo compra. 66thand2nd lo fa, non mi ha mai deluso. Nemmeno questa volta.
Ottima la traduzione di Riccardo Michelucci, che secondo me, aldilà della fatica che un traduttore sopporta nel suo lavoro, stavolta si è pure divertito.
Ex militante dell’Ira, con un’implacabile passione per l’alcol, Brendan Behan è uno degli scrittori più singolari del Novecento. Nato a Dublino nel 1923 e prematuramente scomparso all’età di quarantuno anni, è autore del romanzo autobiografico Ragazzo del Borstal (tradotto da Luciano Bianciardi nel 1960), basato sulle sue esperienze in un carcere inglese, di due «commedie drammatiche» e di alcuni talk book.