Cosa hanno rappresentato quei tempi è difficile da spiegare, per chi non li ha vissuti. Insieme a lui Andrè The Giant (scomparso), Macho Man Randy Savage (scomparso) e Hulk Hogan (finito a fare telefilm e reality tv), nell’olimpo del Wrestling di allora, fatto di bizzarrie, di eccessi e di steroidi, per eroi invincibili che a volte si impersonavano un po’ troppo nei propri personaggi.
E’ rimasto fuori dal giro per tanti anni, James Hellwig, proprio per questo suo essersi troppo immedesimato nel personaggio da ring che si era ritagliato la fama e l’amore della folla, ma giusto lo scorso week end proprio la folla e la (oggi) WWE gli rendevano omaggio.
Quando entrava sul ring, entrava da invincibile. Se mi passate un paragone calcistico, era il Gennaro Gattuso del Wrestling e ti faceva impazzire quando arrivava il momento in cui iniziava a danzare aggrappato alle corde del ring, come se volesse strapparle: a quel punto sapevi che nessuno non lo poteva più toccare, che era il momento di vincere, di sollevare l’avversario e tutti i problemi sopra la testa e scaraventarli alle spalle, prima che un arbitro sancisse la vittoria. Ho sempre pensato che la sua “finish move” fosse una metafora della vita: prendersi carico delle difficoltà sollevarle con tutte le proprie forze, anche quando questo sembrava impossibile, e poi gettarle dietro, scaricarle, sconfiggerle, con la forza della propria volontà. Per questo mi piaceva di più rispetto ad altri grandi Wrestler.
Oggi James Hellwig ci ha salutato, ma il suo ricordo, il divertimento e le emozioni che ci ha regalato, come quelle che ci regala ogni grande artista, non moriranno mai.
Ultimate Warrior vive.
Graziano Carugo Campi