Alla fine della strada lunga una notte attendeva loro un mattino grigio e appiccicoso, un mare disteso a due passi dal cielo, la scogliera poderosa e l’onda giovane che, ingenua, vi si infrange. Alla fine della strada c’era l’”eccitante pieno” dei futuri che verranno, e il “pietrificante vuoto” di tutta la vita davanti. Alla fine della strada ci sono proprio loro, la solitudine di mille donne e di mille uomini in due soli corpi vicini, lontani quanto basta per sentirsi umani.
Così potrebbe iniziare un racconto che non esiste, così potrebbe finire quello stesso racconto o mille altri, perché la staticità ha il magico dono di mascherarsi all’occorrenza, fingersi ciò che non è, scambiarsi di posto passando inosservata.
Gianni Berengo Gardin non è uno scrittore ne’ un cantastorie eppure la magia di un fermo immagine la conosce bene, vi racconta una storia universale che è un inizio o una fine, che è un inizio e una fine lo fa però senza parola ma con uno scatto classico, simmetrico, sottile, immortale poiché fermo nel tempo.