L’arte si è interrogata a lungo riguardo la rappresentazione di un’assenza. Sebbene ogni forma d’arte sia generata dal desiderio di colmare una mancanza e sia quindi, implicitamente, ritratto di un vuoto che vuoto non vuole essere, la rappresentazione esplicita del non essere continua a tormentare chi del proprio dolore vuol fare bellezza.
Alcuni provano un certo imbarazzo di fronte all’incapacità di arrestare il mondo fuori opposto a quello dentro che si frantuma cosicché sedie vuote e strade sterrate riproducono visivamente l’assenza dell’altro che è assenza del sé opposta all’inarrestabile corsa del tempo secolare.
Altri, come Vincenzo Agnetti, artista italiano nato nel 1926, quello che essendoci non c’è – in questo caso il proprio io – lo spiegano in maniera chiara, bianco su nero, riempiendo l’assenza di una fotografia, con la presenza delle parole.