Leggere William S. Burroughs è un’esperienza molto complessa ed estremamente coinvolgente, se avete intenzione di rilassarvi e “spegnere” il cervello con una lettura rilassante e siete sensibili alla violenza delle parole, state lontani da questo libro! Per apprezzare appieno I ragazzi selvaggi (Adelphi) bisogna attivare i neuroni e lasciarli lavorare, stimolati da una lettura caustica che da la sensazione di aver ingerito una droga sintetica. Bisogna anche togliere la patina di perbenismo e di politicamente corretto che ci è indotta quotidianamente. Ed è impressionante come questo libro, pubblicato per la prima volta nel 1971, riletto oggi, può spaventare il lettore grazie a una forza profetica impressionante. Probabilmente non era intenzione di Burroughs quella di terrorizzare le generazioni future, anzi. La sua era più che altro una speranza. Il sogno cinico di una società, quella della sua epoca, che si autodistruggesse per mano dei suoi giovani, specie aliena all’interno di un’umanità bigotta, ormai allo stremo delle forze, che tenta di appiattire le vite umane rendendole uguali tra di loro. L’autore crea un mondo apocalittico in cui ci sono stati di polizia che, con la scusa del controllo, si sono moltiplicati e quasi per nemesi nasce un movimento di giovani mutanti e omosessuali che ha come obiettivo la rovina e la distruzione della civiltà occidentale. Spinti solo dalle loro più becere pulsioni vogliono annientare la normalità senza alcuna pietà. C’è da aggiungere, inoltre, che questi giovani distruttori provengono dal Maghreb. È facile comprendere perché dopo gli attentati dell’11 settembre alcuni sostennero che I ragazzi selvaggi avesse anticipato quanto successo ed è facile immaginare come altri possano oggi interpretarlo come un’anticipazione dell’Isis. Nella lettura saremo accompagnati da creature generate dalla mente allucinata di Burroghs: ragazzi felini con artigli pieni di cianuro, umanoidi spaventosi e violenti, con un capo che ha una toppa sull’occhio come se fosse un pirata ma al posto dell’uncino ha uno strumento per la castrazione, utile per sviscerare i malcapitati che trova sulla sua strada. Il caos regna sovrano e Burroughs non ci accompagna tenendoci per mano, ci spinge con violenza all’interno di una follia che lui stesso ha creato.
Una particolare menzione va fatta al traduttore Andrew Tanzi che riesce a mantenere perfettamente lo stile dell’autore e il suo linguaggio complesso e un po’ folle.
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