Nei giorni in cui leggevo il primo libro de “La saga dei Cazalet”, mi è stata posta una domanda che il popolo dei libri conosce molto bene. “Quali sono gli autori che ti hanno cambiato la vita ? E con quali libri ?”
Anche per un lettore forte e´ una domanda impegnativa, per rispondere alla quale bisogna riflettere bene, tornare indietro nel tempo, sfogliare mentalmente migliaia di pagine. E nel tentativo di dare una risposta veritiera, ci si fanno anche altre domande: “Cosa significa mi hanno cambiato la vita ? Come me l’hanno cambiata ?”
Per ognuno il cambiamento assume vesti diverse. Per chi nella propria vita non ha mai cambiato nulla, anche la variazione del carattere grafico può generare stupore, per chi invece è abituato a cambiare spesso, ci vuole invece qualcosa di più ficcante.
“Gli anni della leggerezza”, primo libro de La saga dei Cazalet, a mio parere promette bene in tal senso.
Anch’io mi sono chiesto cosa deve fare un libro per cambiarmi la vita, e questo libro mi ha fatto stare bene per molti giorni, mi ha regalato uno stato di benessere mica da poco. Come ? Ospitandomi nelle dimore Cazalet.
Leggendo quest’opera si conoscono un sacco di personaggi che vivono in un periodo storico importantissimo e pagina dopo pagina, crescendo la confidenza con ciascuno di loro, ci si immedesima in più d’uno, partecipando alla saga.
Conclusa la lettura, 600 pagine di puro piacere, ho letto la biografia dell’autrice e compreso la vita burrascosa che E.J. ha affrontato. Nata e morta negli stessi anni della mia nonna, l’ho sentita più vicina ancora, e ho fissato a lungo il suo volto, cercando di leggere in esso le vicende che l’hanno portata a partorire questo lavoro letterario.
Che vita, che libro, che gioia e che pace nel leggerlo.
In una prima parte di approfondita conoscenza dell’intera famiglia, l’autrice ci conduce in un paradiso di suoni, di colori, di odori, questi ultimi in particolare sembra quasi di sentirli davvero, nel racconto dei tanti pasti consumati dagli abitanti delle ville ben curate da abili e attenti servitori, non trattati però come tali dai padroni, ma così da sembrare quasi familiari essi stessi.
Nella seconda parte i ruoli vanno definendosi, si misurano i pesi specifici di ciascun componente, pesi nettamente indipendenti dal ruolo stesso. Chi pesa di più non è il capostipite o il più intelligente, e chi pesa di meno non è certo l’ultima delle cameriere o delle bambinaie.
Siamo nel 1937/38, tra le due guerre, ormai con un piede nella seconda, con gli annunci sporadici della quale, veniamo introdotti nella terza parte del libro. Sono 200 pagine circa caratterizzate da un grande spazio riservato ai bambini, ai loro giochi, al loro modo di passare il tempo, che pur prigioniero di regole piuttosto rigide, non lo priva della loro natura fanciullesca. Giocano tantissimo, non hanno troppa voglia di studiare, si ammalano, qualche volta veramente qualche volta no, e si annoiano, tutto normale quindi. E ascoltano.
I bambini ascoltano, più e meglio degli adulti, e così comprendono in uno schiocco di dita, in un gesto, in una situazione imbarazzante, che la guerra e´ alle porte. Fantasticano su ciò che succederà loro e all’intera famiglia, ai loro cugini e agli amici animali, e ci raccontano la paura, il terrore per ciò che ancora non conoscono, ma percepiscono terribile, negli sguardi di papà e mamma, e in quelli di stupide maschere antigas.
Non è un’espressione rituale dire che sarà faticoso attendere l’uscita del seguito di questo libro. I semi accuratamente collocati nei solchi di oltre 600 pagine di lavoro da Elizabeth Jane, sono numerosi, perciò c’è da aspettarsi una ricca fioritura e più in la ancora un gran raccolto.
Nell’attesa contiamo sul fatto che l’editore ci innaffi di tante altre buone letture, così da arrivare in un batter d’occhi, al secondo capitolo.
“Ma la sua preferita…..era Clary. Clary non era graziosa come Polly, non era brillante come Louise; Clary col suo faccino tondo e olivastro, le sue lentiggini, i capelli lisci che le davano quell’aria da topolino, il sorriso deturpato dai denti mancanti e dall’apparecchio, le unghie rosicchiate e la tendenza a mettere il muso, era per certi versi una bambina poco attraente, mediocre, eppure vedeva le cose, e il modo in cui le vedeva e sapeva scriverne per Miss Milliment non era affatto mediocre. Nel corso dell’ultimo anno i sui scritti si erano evolutiv da vicende di animali antropomorfi calati in situazioni umane a storie di persone vere e proprie che dimostravano come l’autrice percepisse, sentisse o sapesse delle persone molto più di quanto ci si aspetterebbe da una tredicenne.”
“Non è strano ? Ogni giorno viviamo sapendo di essere sull’orlo di un baratro, eppure continuiamo a fare tutto come se niente fosse”