Home Inchiostro - Recensioni di libri indipendenti e non. Vito Santoro – L’ultimo atto di Caino – Racconto

Vito Santoro – L’ultimo atto di Caino – Racconto

by senzaudio
Vito Santoro

L’ultimo atto di Caino

Un sole veemente aveva dissolto la fitta nebbia che ammantava da giorni la terra impura. Pennellate di rosso e di giallo avevano preso vita slanciandosi oltre le folte siepi verso l’azzurro del cielo. Le mura di roccia magmatica ora mostravano una fine e un inizio così come le polverose strade millenarie. Due mosche si rincorrevano disegnando saettanti e imprevedibili spirali. Si posavano sulla pietra riscaldata dal sole e restavano in attesa. Immobili. Ripartivano, ronzando alle volte, tracciando nuove traiettorie senza mai sconfinare il territorio in cui si era dichiarata la contesa. Caino le guardava, infastidito. Non era però il molesto dissidio dei due insetti a infastidirlo, ma un ricordo. Un ricordo antico e ricoperto da strati di macerie, in bilico lungo precipizi dai quali si salvava ansimando avvolto nelle lenzuola madide di sudore.
Osservò il corpo di Alina, la donna, l’ultima donna che giaceva per terra in posizione fetale, con il ventre trafitto. L’odore della carne in decomposizione e ora preda dei vermi si era insinuato nelle sue narici risvegliando quel ricordo faticosamente segregato: Abele. Il ricordo del suo amato fratello, morto prematuramente in un tempo dimenticato dall’uomo. Abele, ucciso senza pietà. Privato dei desideri della giovinezza, dei peccati e dell’amore. Denudato e violentato, sacrificato a un dio miope e stanco. Quel corpo nudo, Abele, la gola squarciata e il sangue scuro, di un colore irripetibile. Un’immagine dissolta dalla sofferenza, quell’odore nauseante rimasto imbottigliato nella sua mente e che ora quel cadavere putrescente disteso davanti ai suoi piedi aveva liberato insieme all’odio, al dolore, all’impotenza.
S’inginocchiò davanti al corpo della donna, le accarezzò la guancia fredda e le scostò una ciocca di capelli dalla fronte. Le sfilò il coltello che ancora serrava tra le mani e bagnò la lama incrostata di sangue secco con la saliva. Lo strofinò vigorosamente sui pantaloni e lo infilzò con un colpo energico nella tanica. Attraverso la lacerazione il combustile si riversò gorgheggiando sul pavimento.
Un nuovo sacrificio, l’estremo, e la fine di una nuova era. Un’era annunciata ma che non avrebbe mai avuto inizio.
Sfilò le scarpe, i pantaloni, la camicia. Socchiuse gli occhi, distese le braccia lungo i fianchi, inspirò profondamente. E accese.
La vampata di calore arrivò improvvisa, provò una sorta di brivido indefinibile, il suolo vibrò sotto i suoi piedi. Le fiamme lo avvolsero come un abbraccio materno e la sua carne iniziò ad ardere quasi delicatamente finché l’impeto infernale non suonò l’atto definitivo.
Il futuro dell’uomo si disperse nel grigio amorfo della cenere.
Tornò una strana quiete, inedita.
Le due mosche saettarono nervosamente un’ultima volta, ronzando, poi si allontanarono svanendo nell’orizzonte innocente.


Vito Santoro ha esordito nel 2015 con il romanzo “Non c’è tempo per il sole” (EdS), Premio Letterario “Narratori della sera”. Nel 2016 ha pubblicato il suo secondo romanzo, “I tre volti di Ecate” (Edizioni Spartaco). Tra il 2015 e il 2017 ha vinto diversi concorsi letterari riservati ai racconti brevi tra cui: Milleparole (Raffaelli Editore), Horror Storytelling (Watson Edizioni), Narratopoli (Edizioni Cento Autori). Con il racconto lungo “Ritorno a casa” ha vinto il recente concorso “Allenamente” organizzato da Mondadori. La pubblicazione è prevista per il prossimo autunno.
Collabora con il quotidiano d’informazione Brundisum e cura la comunicazione dell’etichetta discografica Blackwater.
Con lo pseudonimo Fonemi conduce un progetto di musica elettronica sperimentale.

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