Un bambino vuole andare allo stadio per andare a vedere una partita di calcio accompagnato dalla sua famiglia. A Bargamo c’è Atalanta – Juventus, lui è un tifoso bianconero: parte da casa indossando una maglia di Carlitos Tevez, evidentemente uno dei suoi beniamini, arriva allo stadio, passa davanti ai tifosi nerazzurri, anche quelli più caldi, che lanciano qualche battuta (“Come lo crescete bene…”) innocente, e poi è atteso dal prefiltraggio dove trova gli stewards: deve togliersi la maglia se vuole entrare, rischia di accendere gli animi. Lo deve fare, è costretto a mettersi una felpa: assisterà così all’intero match esultando ai gol di Tevez. Questa è la storia raccolta e raccontata dall’Eco di Bergamo.
Non ci vuole molto a capire che tutto non va. Ed è persino inutile prendersela con gli stewards: se hanno agito così, sbagliando chiaramente, è perché hanno avvertito un rischio possibile, essendo consapevoli che persino una maglietta indossata da un bambino poteva rappresentare una scintilla capace di scatenare un incendio. Nel resto d’Europa nessuno penserebbe a un tale gesto ed è evidentemente un problema di cultura: la nostra è ai minimi storici, inesistente, caratterizzata dall’odio e dalla inimicizia profonda. Non bastano le leggi, fino a quando non si applicano e i responsabili non vengono sanzionati.
Non servono nemmeno le musiche dopo i gol, o i rigori parati, le urla sempre più esaltate degli speaker: non abbiamo stadi moderni, sono vecchi, fatiscenti, freddi. E si respira un clima d’odio: giorni fa ho letto di un padre di famiglia allo stadio con i propri figli intento a insultare avversari e arbitro. Come si comporteranno questi ragazzi tra qualche anno? Molto passa dai comportamenti dei protagonisti, tanto da quello dei media: quando capiremo che molto è modificare completamente? Non aspettiamo che venga toccato il fondo: al peggio non c’è mai fine.