C’è una certa tendenza comune a tutti gli autori latino americani. Non si manifesta sempre, non si manifesta nell’arco di tutta la loro biografia, però, prima o dopo capita. Capita che arrivi quel momento in cui l’autore ha la necessità impellente di raccontare una storia che parte da lontano. Una storia che ha le radici nel passato e che il protagonista cerca di riportare alla luce.
Nel caso de “La sfilata dell’amore” Sergio Pitol da al protagonisca Miguel de Solar mandato di scoprire cosa si nasconda dietro un assassinio commesso quando il nostro aveva solo 10 anni. La vittima (ma forse le vittime sono più di una) è un austrico appena uscito da una festa data da Delfina Uribe il quale riponde al nome di Erich María Pistauer. Per quale motivo le persone coinvolte sembrano ricordare storie diverse e discordanti di quel momento. Perché sui giornali si parla di vittime quando pare che l’unico a perire sia stato Pistauer, perché i rapporti della polizia raccontano di una lite condita dall’alcol quasi fosse stato un caso.
Miguel de Solar è deciso a vederci chiaro, perché fa lo storico e perché comprendere questo fatto di sangue può essere la chiave per capire un dato momento storico e, forse, la natura di un paese. Purtroppo, non tutto può essere riportato alla luce, a volte si deve fare i conti con l’incompiuto.
Quella di Pitol sembra essere la ricerca di un modo per espiare le tare del passato. Nessuna vittima deve essere dimenticata, ogni vittima deve avere giustizia. Questo “tema” è frequente nella letteratura latino americana perché questa letteratura è figlia dei massacri perpetrati dai regimi militari nel passato recente. L’intellettuale è spesso l’unico baluardo. L’esempio più lampante è quello di Rodolfo Walsh con il suo “Operazione Massacro” anche se in questo caso siamo nell’ambito del giornalismo narrativo. Altri esempi li ha forniti Cortàzar, altri ancora Soriano (in un modo forse più burlone).
Poi Pitol si incanala nella tradizione dei personaggi bizzarri. La sua è una carrellata di protagonisti vezzosi, pieni di rancore, ancorati ad un passato che non può più essere. La zia Eduviges ad esempio, vive seppellita in casa, circondata dal pacchiano e confeziona un mondo tutto suo in cui le comparse che la circondano non fanno altro che cercare di abbatterla e di abbattere il figlio. Delfina sembra recitare una parte talmente è proiettata verso i fasti giovanili. E poi c’è l’impersonificazione del male, quel Balmorán che pare aleggiare, con la sua presenza, sopra tutti gli altri. Nel complesso tutti i personaggi paiono essere gli emblemi di una voglia tutta umana di fare del passato materia malleabile.
Gran Via, con “La sfilata dell’amore” mi ha fatto felice. Mi ha fatto conoscere un Pitol così vicino ai miei miti letterari da volerlo legare indissolubilmente a quel gruppo di autori nel quale mi rifugio quando tutta la letteratura che sfila veloce mi sembra pallida.
La copertina parla da sola. E’ di una delicatezza unica, quelle finestre aperte o semichiuse sembrano preannunciare un mondo di possibilità. E chi l’ha fatta questa copertina? Mirko Visentin, naturalmente.
Il lavoro di traduzione è ad opera della “Nostra” Stefania Marinoni. Per una questione di buon gusto, visto che scrive su Senzaudio, credo che non aggiungerò altro.
Sergio Pitol (Messico, 1933), uno dei maggiori scrittori viventi in lingua spagnola, è autore di romanzi, racconti e saggi tradotti in molte lingue. La sfilata dell’amore ha vinto il premio Herralde 1984.