Cesare Viviani, nel suo ultimo saggio dedicato alla poesia (La poesia è finita. Diamoci pace. A meno che…, uscito per i tipi de il melangolo), non risparmia critiche severe al narcisismo saccente dei poeti e al chiacchiericcio di certa critica compiacente a una logica mercantile e di servilismo.
Parole pesanti e giuste quelle di Viviani che faranno incazzare l’establishment e tutti i presunti poeti che si credono poeti.
Tra le altre cose, tutte condivisibili, l’autore scrive:« La migliore scuola di poesia( l’unica seria) per imparare ad amarla, e magari anche a scriverla, è leggerne tanta, con intensità e lentamente».
È vero, si incontrano di frequente poeti che inondano a dismisura di versi ogni luogo possibile. Rari davvero, quelli che la poesia la leggono con intensità e lentamente.
Chi mi legge e mi conosce, per i motivi espressi da Cesare Viviani, sa che non mi entusiasma molto la poesia italiana contemporanea. Ovviamente, e per fortuna, qualche volta mi imbatto in un’ eccezione.
Ho amato molto In che luce cadranno di Gabriele Galloni.
Finalmente un poeta giovane che ha deciso da subito di essere maturo, perché si vede che dietro la sua poesia ci sono letture strutturate, intense e autentiche.
La sua poesia è schianto e anche essenzialità ma è soprattutto sottrazione di un linguaggio che colpisce direttamente, rifiuto di ogni abbellimento testuale. Insomma, è poesia onesta e vera .
Perché la poesia, quella vera, ha il volto delle cose che si chiamano con il proprio nome.
Gabriele Galloni con testi brevi e intensi scava nella parola poetica e sulla pagina la presenza non rinuncia all’assenza.
Davanti ai morti, che continuano a porsi le stesse domande dei vivi, il poeta si ferma a pensare e scrive una poesia che possiamo leggere come una intreccio finissimo in cui non è il pieno che sostiene i vuoti, ma sono i vuoti che colmano i pieni.
«Il lessico dei morti / è la metà del nostro; / a mezzogiorno l’ostro/ sfoglia il vocabolario/ dei pellegrini».
In che luce cadranno è un canzoniere di assenze dedicato ai morti che noi vivi ci portiamo dentro.
Il poeta scava nell’aldilà che viviamo ogni giorno su questa terra con la consapevolezza immanente che in questo inferno le ragioni dei vivi spesso coincidono con quelle dei morti.
Grazie all’incisività di un verso scarnificato, Galloni abbraccia una parola schietta e spiazzante e ci rivela che nella vita e nella morte di tutti i giorni ogni sguardo è un’allucinazione.
Perché è il poeta stesso a dirci che la musica dei morti è il contrappunto dei passi sulla terra.
In questo fitto dialogo essenziale tra morti e vivi, In che luce cadranno ci coinvolge tutti senza alcun inganno e ci legge fino a denudare tutte le nostre paure. Questa è la lezione della grande poesia.