Sono di parte, è vero, ma in tempi come questi mi sembra buona cosa prendere poco sul serio le verità del reale e prestare invece massima fede al serissimo gioco della letteratura. Il personaggio di un romanzo da noi pubblicato lo scorso anno, Gli innocenti di Burhan Sönmez, afferma in via assai condivisibile che “l’ignoranza non è il non sapere, è sapere la cosa sbagliata”. Mai come oggi, infatti, viviamo di narrazioni potenti che conformano la nostra percezione delle cose. Venti anni di informazione scadente, proposte culturali annacquate e crisi economica hanno minato la nostra capacità critica alla radice, per cui sempre più spesso ci accontentiamo di fare da grancassa all’altrui opinione e all’altrui versione delle cose senza prenderci la briga di verificare la fondatezza delle informazioni spacciate come “dati di fatto”. Il ragionamento ha lasciato il posto al tifo. Càpita ad esempio – per rimanere in tema di fatti editoriali – che una fusione perniciosa come quella recentemente perfezionata tra Mondadori e Rizzoli sia salutata da più parti come “utile per lo sviluppo del mercato”. Quando il cosiddetto mercato si contrae e reagisce alla crisi, lo fa – come in questo caso – attraverso una concentrazione del potere. Gli organismi elefantiaci accorpano funzioni e forniscono il beneficio di costi ridotti e – dicono – di vantaggi diffusi. La narrazione è efficace. Molti la credono salvifica. Pochi si accorgono che a lungo andare ne va di mezzo la nostra stessa coscienza di cittadinanza democratica: il potere fa il potere e riduce – anche senza la necessità di pressioni dirette, solo perché è la sua natura – gli spazi di critica e di scelta, spacciando tutto ciò con il nome altisonante di “libero mercato” (che tutto è tranne questo azzeramento progressivo della possibilità di concorrenza) e garantendo l’illusione di una felicità che si conquista facilmente, attraverso il massimo sconto e la riduzione del prezzo di copertina. Si è lasciato che il focus di questo mercato fosse incentrato sulla scontistica e tutto si è puntato su di essa. A lungo andare, gli unici libri a essere venduti saranno quelli con il 25% (e oltre, se fosse possibile), ché tanto un escamotage per aggirare la Legge Levi lo si trova quotidianamente.
La domanda sorge spontanea: perché questo si profonde in cotanto pippone se deve parlare degli store online per la vendita degli ebook? Il discorso è a mio avviso correlato. Il mercato digitale sperimenta una lenta crescita, ma è ancora fermo, come e più di quello cartaceo, al palo del daily deal. Si vendicchia online, ma a farla da padrone sono i soliti best-seller che-proprio-non-possiamo-non-leggere-perché-capolavori-letterari-imprescindibili (il marketing fa davvero miracoli) e, soprattutto, i titoli che quotidianamente vengono posti in supersconto a 0.99 euro e 1.99 euro. Anche titoli improbabili, ai quali non si darebbe un minimo di credito, che arrivano a vendere migliaia di copie perché lo specchietto per le allodole dell’offerta stracciata è un meccanismo che ormai ci ha fritto il cervello. C’entra secondo me in qualche misura anche l’idea – tutta italiana – dell’immateriale come oggetto intrinsecamente privo di valore, e quindi intrinsecamente subalterno al prodotto cartaceo. In ogni caso, ai fini del nostro ragionamento, ciò che conta è fotografare la situazione. Analogamente a quanto avviene per i libri di carta, non è la domanda a conformare il mercato, piuttosto l’esatto contrario: acquistiamo e leggiamo ciò che ci viene detto di acquistare e leggere, con – in aggiunta – la meravigliosa illusione di una sconfinata libertà di scelta. Niente di più falso, come si può vedere facilmente. Più il mercato si concentra, più la nostra capacità critica si assottiglia e la nostra possibilità di scelta si riduce. Leggere le stesse cose, dover scegliere tra le medesime proposte, mina alla base i valori fondamentali di una società libera e democratica. Sostenere le librerie di consiglio piuttosto che i grandi supermercati del libro sviluppa la bibliodiversità ed equivale a una precisa scelta politica. Non è diverso con gli store online. Ci vogliono soltanto come consumatori, torniamo a essere innanzitutto lettori e cittadini, liberi.