In tutta onestà io al buon Bollini voglio bene. Me lo immagino da giovane, piegato sul manubrio della bicicletta, ma non fatico ad immaginarmelo da vecchio, quando ormai a piegarlo è la vita. Quando ormai non è più nessuno per i media, forse una vecchia gloria, ma niente di più.
Bollini un po’ pirla lo è, ma come lo potremmo essere tutti noi, forse è per questo che gli voglio bene, perché potrei essere io e potreste essere anche voi.
La storia di “Sfida all’ok Dakar” inizia con il buon Bollini stretto dalla forte morsa che è la vita. Gli affari del Country House che ha messo su non sono per nulla floridi. E’ costretto a seguire gli incontri di un gruppo di autoaiuto in cui si fa chiamare Aquafresh, la moglie non sembra più tanto interessata a lui e il figlio Lapo (avuto con la prima moglie) lo odia con tutte le forze. In questo, un raggio di sole, l’intelligenze e la brillantezza della figlia Viola.
Siccome le sfighe non vengono mai da sole il Bollini viene coinvolto nel rapimento di una salma, nel traffico di una nuova droga e nell’organizzazione di una manifestazione ciclistica che dovrebbe ricalcare i fasti della Parigi-Dakar. Questi e altri sono gli ostacoli che Bollini si troverà ad affrontare, riuscirà ad arrivare alla fine del libro incolume? (no, direi di no), riuscirà a sprintare alzandosi sui pedali per staccare il gruppo?
Otello Marcacci racconta con ironia una storia di medio squallore. Una storia in cui i personaggi, anche quelli più dilaniati dalla miseria sembrano avere sempre un sorriso di traverso piantato sul viso. Una storia in cui è difficile identificare il buono ed è al contempo facile rendersi conto che tutti hanno uno scheletro nell’armadio. Tutti vogliono sopravvivere.
Otello Marcacci (Grosseto, 1963) vive a Lucca. Ha pubblicato con Neo Edizioni il romanzo Gobbi come i Pirenei (2011) che, grazie al passaparola dei lettori, è diventato un piccolo caso editoriale. Suoi i romanzi Il ritmo del silenzio (Edizioni della Sera, 2012) e La lotteria (Officine Editoriali, 2013).