“Three is a magic number” cantava Bob Dorough e “Qualcosa nella nebbia” di Roberto Camurri, suo terzo romanzo, ha davvero qualcosa di magico. Ho conosciuto Roberto ormai parecchi anni fa, poco prima che diventasse lo scrittore che ormai tutti conoscono. “A misura d’uomo” non aveva ancora preso la sua forma finale e non era ancora uscito nelle librerie rivelandosi poi quel gran successo che è stato. Quando uscì “Il nome della madre” avevo capito che Roberto stava cavalcando una parabola ascendente. Il secondo libro, più maturo, più complesso, lasciava intravedere un miglioramento ancora da venire, faceva capire che il ragazzo, come si suol dire, si sarebbe fatto.
Pochi giorni fa è uscito nelle librerie il suo terzo romanzo “Qualcosa nella nebbia“. Io non sono una di quelle persone che sui social, ad ogni notizia di una nuova pubblicazione, scrive “piango!”, “lo sto aspettando con impazienza”, “mio!!!”, “curioso!” etc etc; se non lo posso dire qui, dove lo posso dire? Però devo ammettere che attendo i romanzi di Roberto soprattutto perché mi permettono di verificare come sta procedendo la sua crescita come autore.
“Qualcosa nella nebbia” è un libro molto più complesso dei precedenti che, dai precedenti prende vita. Fabbrico, il paese che Camurri ci ha fatto conoscere con il primo libro, è sempre sullo sfondo, ma adesso è diventata una presenza più discreta, quasi un personaggio comprimario, ma soprattutto, Fabbrico ha fatto il salto da paese realmente esistente e facilmente identificabile nelle cartine geografiche a pura essenza dell’immaginazione dell’autore. Se vogliamo è un luogo rifugio pensato dall’autore, uno spazio privato in cui interagiscono personaggi reali e di finzione. Voi che entrate a Fabbrico, che vi fate le foto sotto il cartello che indica l’ingresso al paese, non troverete mai la Fabbrico di Camurri.
Ed è appunto nel confine tra realtà e finzione che si svolge questo romanzo. Il narratore è un “Io” che è uno scrittore esordiente che deve affrontare gli alti e bassi del successo del primo libro. Lo scrittore del romanzo ha dei tratti che ricalcano quelli di Roberto Camurri autore del libro “Qualcosa nella nebbia“. Ci sono dunque snodi che sono stati presi in prestito dalla realtà che permettono di giocare nel mondo della finzione. L’effetto, che deduco essere desiderato, come lo è sempre ad esempio nell’autofiction, è quello di far formulare al lettore una domanda specifica: è successo davvero?
I momenti in cui ciò accade, durante la lettura, sono molti, ma a me francamente questo tipo di approccio al romanzo interessa poco. L’ho trovato gestito molto bene, con equilibrio e con delicatezza, ma non è ciò che mi attira della letteratura. Quando leggo un romanzo tendo a pensare che tutto sia finzione, che tutto provenga dalla mente creativa dell’autore. “Qualcosa nella nebbia” si lega, per quel che mi riguarda, a “A misura d’uomo”. Soprattutto per il richiamo al romanzo per racconti. In “Qualcosa nella nebbia” l’autore Camurri è alle prese con un nuovo libro, ha una serie di personaggi che intervengono tra uno stacco e l’altro, una serie di personaggi che entrano ed escono dal libro e che, in un certo senso, mostrano davvero qual è il processo creativo di uno scrittore. Camurri mostra a modo suo come ciò che è reale e crea esperienza nella vita quotidiana entra a far parte del mondo della narrativa. E se posso permettermi questo è uno dei punti che più mi è piaciuto del libro: il modo in cui Camurri riesce ad amalgamare due linee narrative, a fonderle assieme per creare una terza storia che è un po’ meta narrativa.
E poi, ovviamente, ci sono i personaggi. Personaggi che Roberto Camurri ha sempre caratterizzato molto bene e che qui spiccano per essere uomini e donne danneggiati, con qualcosa di rotto (sia a livello fisico che mentale), qualcosa che non è mai completamente riparabile. Alice che fa carriera in TV e poi decide di tornare a Fabbrico, Andrea detto Jack per un episodio legato al Jack Daniels, Giuseppe che vede arrivare una famiglia inquietante nella casa dei cinque comignoli: le loro storie sono legate, si intersecano, sono storie di violenza (c’è una scena in particolare che arriva improvvisa e che mi ha fatto pensare: vediamo come la prendono i lettori), di disperazione, sono storie che ci mostrano come per quanto si possa provare ad allontanarsi dal centro del vuoto che abbiamo dentro, nessuno può davvero dirsi salvo. Anche lo scrittore della finzione a un certo punto si confronta con il vuoto. Scrivere un romanzo di successo sembrava un buon modo per tapparlo, per farlo sparire, ma il vuoto è un buco nero che inghiotte tutto e più che cercare di riempirlo bisogna provare a conviverci. Come fosse facile.
Come dicevo, conosco Roberto da un po’ e spero che non se ne abbia a male se dico che sono particolarmente affezionato a “A misura d’uomo” perché ha dato il via a tutto, ma che secondo me, “Qualcosa nella nebbia”, è il libro che lo ha fatto diventare uno scrittore a tutto tondo. “Qualcosa nella nebbia” non può che essere l’inizio di qualcosa di ancora più grande.
Roberto Camurri è nato nel 1982, undici giorni dopo la finale dei Mondiali a Madrid. Vive a Parma ma è di Fabbrico, un paese triste e magnifico che esiste davvero. È sposato con Francesca e hanno una figlia. Lavora con i matti e crede ci sia un motivo, ma non vuole sapere quale. Il suo libro d’esordio, A misura d’uomo (NNE 2018), ha vinto il Premio Pop e il Premio Procida ed è stato tradotto in Olanda, Spagna e Catalogna. Il suo secondo romanzo, Il nome della madre, è stato tradotto in Olanda e Germania. Qualcosa nella nebbia è il suo terzo romanzo.