Quando un greco diceva μεταμόρϕωσις non lo faceva certo a cuor leggero, nel pronunciare quella combinazione di lettere morbide e musicali avrà avuto in mente l’ontologia mitica che vuole il cambiamento come base della vita, più tardi avrà avuto in mente Eraclito, un fiume che scorre inesorabile ed un λόγος che rimane tale nonostante il divenire.
La cultura greca sembra essere ossessionata dal cambiamento, dalla definizione di cambiamento, dal tentativo di impadronirsene, spiegandolo. I romani non furono da meno e non si sottrassero al confronto con la metamorfosi ponendola, definitivamente, a base di una tradizione classica che giunge fino a noi.
Noi siamo, del divenire come necessità primaria dell’umano, la prova inconfutabile; esseri cangianti, continuamente esposti agli altri come mai prima, ci vediamo costretti a mutare per sopravvivere all’idea di noi stessi, a mutare per obbedire al dovere dell’essere tormentati.
Dieci anni fa, nel 2003, le cose non erano molto diverse, ce lo dice e ce lo mostra Lise Sarfati, fotografa francese nata nel 1958, che realizzò quell’anno la serie The New Life ordinata secondo una struttura ad episodi che culmina «in un dramma a finale aperto in cui ogni personaggio porta con sè del materiale per un nuovo intreccio secondario capace di seguire il proprio sorprendente sentiero» (Via Magnum)