Sono arrivato al quarto dei sette romani e non sono nemmeno a metà libro. Il grosso evidentemente mi attende alla fine. Questo episodio di un’ipotetica serie televisiva (non me ne vogliate se mischio i media) si intitola “La rivoluzione permanente” e se dovessi dire che oggetto mi ricorda non avrei dubbi a evocare una clessidra.
La storia è quella di Hélène una donna che per tutta la vita ha cercato di rendere concreta la rivoluzione comunista. Una donna che è passata attraverso gli stravolgimenti della fine degli anni sessanta e degli anni settanta, che ad un certo punto aveva pensato di essere ad un passo dalla vittoria ma che si è poi vista costretta a porre una strenue difesa nei confronti dell’avanzata delle altre politiche reazionarie e liberiste. È una donna stanca che ha deciso di abbandonare il partito, non ne può più. È sfibrata nel fisico e nell’anima. Ma ad un certo punto succede qualcosa. Sembra avere quello che assomiglia ad un attacco di cuore, almeno nelle manifestazioni fisiche. Solo che durante questi attacchi Hélène vede un altro mondo. Vede un’altra Parigi. Una Parigi in cui ad un certo punto le cose sono andate diversamente e la rivoluzione c’è stata. Pierre e Gabriel, amici e amori, si sono scambiati i ruoli. Chi è morto in questa Parigi, nell’altra è vivo. Chi lottava per la causa del comunismo ora vi si oppone. Hélène vaga come un fantasma, senza possibilità di interferire con la materia, può solo respirare. Vede il figlio percorrere strade che non aveva mai percorso, vede Parigi e la reputa migliore, la reputa conforme al sogno che aveva da giovane, ma non tutto quello che appare definisce la verità.
Tristan Garcia sfiora l’ucronia in questo romanzo. Fa raccontare ad Hélène un’ipotetico presente che non vedremo mai. Continuo a chiedermi come alla fine verranno legati i romanzi, se verranno legati. Continuo a cercare elementi in comune tra le storie che ho letto fino ad ora. Qui abbiamo una sorta di realtà parallela, un universo differente da quello in cui viviamo ma che in qualche modo arriva agli stessi risultati pessimi di quello in cui camminiamo ora. Mi sembra che il concetto di tempo, di rimescolamento degli eventi passati, un po’ come in “Alice” e “I rulli di legno” sia sempre presente, come anche l’accento alla connessione tra esistenze diverse che abbiamo visto in “Sanguine”.
“La rivoluzione permanente” sembra un esperimento di laboratorio. Come se degli scienziati al di sopra di noi avessero deciso di giocare con le infinite possibilità e stessero cercando di capire se tra queste possibilità ce ne sia una migliore delle altre. Il risultato che “La rivoluzione permanente” sembra portare ai nostri occhi è uno: fino a che gli elementi dell’equazione sono gli esseri umani il risultato non potrà che essere lo stesso, lo zero.
La traduzione è di Sarah De Sanctis.
Qui le altre recensioni: 1, 2,3.
Tristan Garcia è nato a Tolosa nel 1981. Ha studiato Filosofia alla École Normale Supérieure di Parigi. È autore di diversi romanzi, tra cui La parte migliore degli uomini pubblicato in Italia nel 2011 da Guanda, Le Saut de Malmö et autres nouvelles, Les Cordelettes de Browser, Mémoires de la jungle, Faber e 7, vincitore del Prix du Livre Inter 2016, pubblicati in Francia da Gallimard.