L’incipit di questo libro, il concatenarsi dei nomi e soprannomi, diminutivi e vezzeggiativi con cui il nostro protagonista dice di essere stato chiamato in vita vi porta direttamente all’interno della musica di questo libro. Che sia un tango o una milonga poco importa. Ciò che è importante è che Veranito (così lo chiamerò io per non rovinare gli altri suoi nomi) ci racconti la storia di cui è fatto “L’argentino“.
“L’argentino” è il terzo romanzo di Ivano Porpora, il secondo pubblicato da Marsilio, ed è un romanzo profondamente legato al precedente. “L’argentino” ha il compito di espandere l’universo che già avevamo conosciuto in “Nudi come siamo stati”, ma, a mio parere, fa anche molto di più. Il precedente libro di Porpora era già a livelli molto alti. Leggerlo era stato un piacere, ma era un libro diverso. Scritto un uno stile diverso perché raccontava una storia diversa. I grandi scrittori riescono a modificare la loro voce in base a ciò che raccontano. Sono sempre gli stessi eppure cambiano. È un dono.
Avete presente quell’informazione che possiedono un po’ tutti, che se guardate la Luna voi in realtà non state guardando la Luna di adesso, ma la Luna di qualche momento prima. Ecco, io ho avuto la stessa sensazione riguardo a questo libro di Porpora. Da quando lo seguo ho avuto modo di vedere la crescita stilistica, narrativa, chiamatela come volete, tra un libro e quello successivo. “Nudi come siamo stati” era già un passo avanti rispetto a “La conservazione metodica del dolore”. “L’argentino” è un gigantesco passo avanti su tutta la linea.
Il libro è più asciutto rispetto al precedente e mi sembra che in questo modo la storia arrivi diretta come un pugno sulla bocca dello stomaco. La scrittura, che nel libro precedente raggiungeva delle vette poetiche molto alte, qui va ancora più in alto. Il linguaggio è avvolgente e coinvolgente, le parole diventano immagini ad ogni pagina. È come se tutto il libro fosse un arazzo enorme da contemplare. Un arazzo dai colori caldi e brillanti.
E quindi? Che racconta questa storia di cui parla Veranito ne “L’argentino”?
In un paese composto da due strade, due case e centosettanta abitanti circa, un giorno arriva l’argentino. Che poi, secondo Veranito, quel tipo lì, l’Argentina non sapeva nemmeno dove stesse sulla cartina. Il momento in cui appare l’argentino è descritto magnificamente. Un apparizione che arriva dall’alto e sovrasta.
Ma un nuovo elemento senza passato all’interno di una comunità chiusa e ristretta non può che provocare danni e mettere a repentaglio l’equilibrio con cui sono fatte le strade di polvere e le case sbilenche.
Veranito è affascinato da questo misterioso figuro. Lo segue e assiste, quasi come un chierichetto osserva ed interviene durante la messa. Purtroppo però, nei pochi giorni in cui l’argentino rimane a San Cristobàl la sciagura si abbatte sul paese e la vita di Veranito e degli altri non sarà più la stessa.
Ma chi è questo argentino? Cosa rappresenta? Per quel che mi riguarda la discesa dell’argentino in paese è equiparabile alla discesa del messia sulla terra. L’argentino affronta Rosario, il bullo del paese con un cuore così nero che non se ne vedono i confini e una ferocia bestiale che ricorda il male puro. San Cristobàl diventa quindi il terreno per uno scontro tra il bene e il male il cui risultato finale lascia moralmente distrutti. Quell’ultima frase dell’argentino, quella frase che ripete con una disperazione via via sempre crescente nel corso delle pagine finali. Quella che sembra inizialmente essere un avvertimento, poi una supplica e, infine, una condanna.
“Non cambiate mai”
E poi c’è la questione del mito. Un mito che può sorgere solo dalle parole di un ragazzino. Quel Veranito che ci racconta tutto ormai da anziano, ma che per farlo usa gli occhi, le orecchie, la bocca di un bambino cresciuto troppo in fretta. Racconta l’arrivo della salvezza, la diffidenza delle persone, la caduta dei propri idoli ed esempi e poi, racconta la morte. È solo attraverso le parole di un ragazzino che riusciamo a cogliere l’essenza impalpabile dell’argentino. È solo attraverso Veranito che arriviamo a chiederci chi sia questo messia dall’andatura sbilenca e quale sarà il prossimo luogo in cui apparirà.
Ce ne sarebbero ancora di cose da dire. Il buon pazzo che lancia in aria un piccione viaggiatore solo per dire a qualcuno dall’altra parte del volo che “pioverà”. La porta che la maledizione di uno scrittore famoso (chi sarà mai poi questo scrittore?) ha chiuso e che nessuno dovrà mai aprire. La madonna trafugata. Le strade polverose. Tutti i personaggi presenti nel libro che brillano di luce propria. E poi lo stile di stampo sudamericano, la densità quasi materica della lingua che fonde descrizioni e dialoghi senza crepe o brecce. Tutto in 166 pagine, una per ognuno degli abitanti di San Cristobàl alla fine del libro.
“L’argentino” di Ivano Porpora per me è stato tutto questo e anche molto di più. Mi rimane una sola curiosità. Una curiosità che cercherò di tenere a bada. Visto il punto in cui è atterrato Ivano con questo salto, mi sto chiedendo dove atterrerà con il prossimo e quale sarà la grandezza del suo prossimo lavoro.
Ivano Porpora è nato nel 1976 a Viadana, in provincia di Mantova. Ha pubblicato i romanzi La conservazione metodica del dolore (Einaudi 2012) e Nudi come siamo stati (Marsilio 2017). Tiene corsi di scrittura e collabora con studi di psicoterapia, per i quali conduce percorsi basati sulla narrazione. È presidente dell’associazione culturale La Nottola di Minerva.