“Nuvoloni neri avevano cominciato ad addensarsi sopra la strada. L’aria era elettrica. Il rombo del tuono rotolava sulle pareti scoscese della roccia. Lampi improvvisi solcavano il cielo, alcuni diritti, altri biforcuti. Lingue di serpente. La luce era strana, giallastra, e il mondo attorno sembrava di cera. Un’atmosfera che all’uomo non piaceva. Forse un presentimento. Avvertiva delle fitte allo stomaco, i denti battevano. Se ne stava seduto al centro del sedile anteriore del furgoncino. Lo zaino sulle ginocchia.”
Nelle ultime settimane ho letto tre libri, che posso definire uno più bello dell’altro. In ognuno è custodito un tema noto, un tema di quelli che potremmo definire Il Tema. Ogni autore lo ha affrontato in modo diverso e lo ha inserito in vicende lontanissime tra loro, nello spazio e nel tempo. Leggendo libri come questi si impara ad approcciare con sapienza, misura, tatto, coraggio e altro ancora, un tema come… non ve lo dico. Leggete: “L’ultima bambina d’Europa”!
E’ il libro di Francesco Aloe, pubblicato da Alter Ego edizioni nella collana Specchi, e l’ultima bambina d’Europa è davvero tale, purtroppo ed inevitabilmente. Scopriremo molto avanti nel corso della lettura, come si chiama. Il suo nome è prezioso, e il vento lo porterà con sé.
In un futuro, lontano un imprecisato numero di giorni, nella civile e moderna Europa, avvengono fatti devastanti che annullano il continente, la sua essenza, lo radono al suolo, lasciando ovunque distruzione, macerie e morti, soprattutto tanti morti. La soluzione immediata, istintiva, salvavita, è la fuga. Per coloro che sono ancora in grado di realizzarla. Pochissimi sono infatti i gruppi di disperati, rarissimi, dispersi a distanze enormi gli uni dagli altri, che vagano ancora tra distruzione e residui atti di violenza, magari non voluti ma necessari a procurarsi di che sopravvivere e soprattutto a non farsi letteralmente mangiare dagli altri.
La bambina di Francesco Aloe, insieme a padre, madre e al futuro fratellino che la madre porta in grembo, cammina lungo un percorso spesso causale e che sembra non finire mai, e mentre si legge, si soffre con loro fame, sete, fatica e angoscia, percorrendo strade sovrabbondanti di tutto ciò che una bambina di nemmeno 10 anni, dovrebbe mai vedere. Non sarà facile stare con loro, sarà pericoloso, non conosciamo neanche il nome dei genitori. E il percorso ha una caratteristica per certi aspetti inquietante.
“Dove state andando ?” – ho gridato un paio di volte dentro me stesso. E’ un percorso alla rovescia, questo che ci viene raccontato con dettagli scabrosi, perché lo sa bene chi ha dei figli, ma anche chi non ne ha, ma è o è stato figlio e figlia: “Quando stanno bene i bambini, stiamo bene tutti”. Invece Sofia sta malissimo, soffre e vede soffrire i genitori, ma proprio la sua innocenza, le pagine intonse della sua vita che pure sono macchiate di molto sangue, la forza del suo essere bambina è balsamo essenziale per lenire le sofferenze degli altri. Questo balsamo, unito alla fiducia reciproca che anima questa famiglia, sono le energie che consentono loro di proseguire, anche senza cibo, anche senza acqua, sporchi e puzzolenti. Sofia è scrigno che custodisce la bellezza straripante di questa storia.
Bravo Francesco, a condurci ad una riflessione che sta perdendo di spessore, sta diventando pensiero abitudinario, notizia da un paio di edizioni del tg e una di talk show in seconda serata. Questo meraviglioso libro è scritto con coraggio, probabilmente di getto, così come di getto io l’ho letto. E’ scritto viaggiando con il cuore costantemente in ansia, perché la mamma non sente il figlio muoversi nel grembo.
Francesco scrive senza debolezze, è costantemente sul pezzo, il romanzo non perde forza, non sbanda. Le atmosfere, i dettagli, tutto è reso con intensità. Sentiamo rumori, odori, persino l’umidità che ti entra nelle ossa.
“L’uomo salì le scale. Dalle vetrate entrava l’ultima luce del pomeriggio. Opaca e indifferente. Sui gradini la polvere era intatta … i tavoli apparecchiati per l’ultima cena prima della fine del mondo.”
Mi piace molto quando un buon libro mi richiama alla mente, altre buone letture del passato. E’ successo anche con “L’ultima bambina d’Europa”, ben due volte. In alcuni passaggi della lettura mi sentivo vagare per le vie di Metropoli (M.Santarossa – 2015), grigie, piovose, fredde, metalliche. Quasi ad ogni pagina invece mi ritrovavo in Francia, in compagnia de “L’ussaro sul tetto” (J. Giono – 1951), un libro grandioso, devastante per la quantità di sangue versato e rappreso, ma un capolavoro letterario.
“Papà, dormi?”.
“No. Sono qui”.
“Sai cosa mi piace di te?”.
“Cosa?”.
“Che sai tutto”.
E’ stato drammaticamente bello, e un onore, scrivere questa recensione. Applausi.
Claudio Della Pietà