La clavicola di san Francesco, intervista a Daniele Nadir
di Angelo Orlando Meloni
La clavicola di san Francesco è il secondo romanzo di Daniele Nadir, autore torinese di origini siciliane, già noto nel fandom per una rivista, Strane storie, che una ventina d’anni fa partendo dallo status di autoproduzione riuscì a ottenere una distribuzione nazionale nelle edicole e di cui ricordo con affetto, tra le tante cose, un numero con un disegno del grande John Bolton in copertina. Decisamente non male per una cosetta fatta in casa. A Strane storie seguì un romanzo fantasy-horror degno di culto o quanto meno ossequioso rispetto, intitolato Lo stagno di fuoco. Un libro indimenticabile, meraviglioso e ciclopico, pubblicato da Sperling & Kupfer, ma anche un vero e proprio mistero editoriale. Nonostante due edizioni italiane e una tedesca, il romanzo è stato accantonato e non è più in commercio; e questo nonostante sia uno dei fantasy più belli mai scritti nella nostra lingua (sfido chiunque a dimostrare il contrario). Infine, arriviamo ai giorni nostri: ecco La clavicola di san Francesco, romanzo di “post-formazione”, apocalittico, ecologista e avventuroso, pubblicato da una nuova casa editrice dal catalogo molto stimolante, 21lettere.
Terminata la lettura e la rimasticazione di questo nuovo, affascinante tassello dell’universo narrativo di Daniele Nadir, rimane il dubbio se Daniele sia o no uno dei più grandi scrittori italiani sconosciuti. Accompagnato dalla certezza che, successo o meno, abbiamo davvero bisogno di autori coraggiosi e ambiziosi come Daniele Nadir, soprattutto in quest’epoca di narrazioni post-ombelical-qualchecosa in cui la ricerca dell’ipermodernità a tutti i costi spesso nasconde un’attitudine quasi irriflessa, inconscia, verso un conservatorismo molto spinto. Appiattiti sui desiderata di un super-io punitivo neo-neorealista che impone il cilicio e non concede sconti alla fantasia e al piacere, tutti noi scriventi ci siamo dimenticati di chi legge. Ma non Daniele Nadir, che per la seconda volta riesce a imbastire un romanzo profondissimo, vertiginoso e appassionante.
Per introdurre potenziali nuovi lettori al Nadir-verso, ho posto alcune domande all’autore.
Daniele, potresti riassumerci di cosa parla La clavicola di San Francesco nonché come è nato il romanzo?
Uno dei temi della Clavicola è la seconda famiglia che mettiamo insieme, alla meglio, negli anni, ma è raro trovare amici come quelli che hai avuto da ragazzino. Il romanzo si apre seguendo Fabio, il Duca, Seb e Giulia in un’infanzia intensa e fuori dal mondo, anche se proprio dietro l’angolo, a Roma, in un collegio ecclesiastico. L’amicizia tiene insieme i loro pezzi anche quando ognuno di loro andrà per la sua strada e quel mondo di corridoi lunghissimi, nascondigli e cospirazioni immaginarie sarà un ricordo. Un altro motivo che accompagna la storia è un animalismo senza compromessi. Niente retorica, ciò che è giusto o sbagliato non c’entra: quando sei bambino certe verità sono semplici, punto. A dodici anni quasi si ammazzano, sui tetti, fra le cicogne, e (quasi) si fanno sbranare pur di liberare il cane folle dei vicini – ma c’è dell’altro. Come dice Seb, son tutti buoni ad amare i cagnini. Sebastiano viene espulso e trova rifugio in un sotto-sotto gruppo di Francescani nelle colline umbre. Nel ’97 era ad Assisi nei giorni del terremoto, ma da allora non si sa più niente di lui. Sua sorella, Giulia, scopre di non essere la sola a cercarlo, e il vecchio che chiamano Monsignore la terrorizza. Se Seb è vivo, vuol dire che si è cacciato in chissà quale guaio, e se quell’uomo lo troverà, Giulia sa che sarà per colpa sua. È così che riprende la sua vita, in monastero. Mentre parla, prega, cammina o lavora, una parte della sua mente immagina suo fratello: dov’è, ora, com’è morto o le dieci vite che potrebbe avere, e questo in ogni singolo attimo. Per vent’anni. E ancora: un giorno, in cortile, urlano a una gallina che scappa volando in tondo sino al tetto, e una volta in cima salta dall’altra parte e scompare. Ma… volano, le galline? Un po’, forse, se hanno le ossa leggere. Quel giorno Giulia abbandona gli ordini e va ad Assisi con le tasche vuote e nessun indizio. Ecco, la Clavicola è la storia della ricerca di Sebastiano, Seb per gli amici. Fabio aiuterà Giulia sulle tracce freddissime dell’amico di un tempo, perché Sebastiano, ad Assisi, stava cercando una reliquia. Ammesso che esista. Il fulcro nascosto del romanzo è in quello che la Clavicola di san Francesco ha significato lungo otto secoli di eresie e spettacolari sogni infranti. La ricerca stessa di Fabio e Giulia ne fa parte. E Seb, naturalmente (ammesso che sia vivo). Riguardo a come questa storia è nata, potrei dire che c’entra un’infanzia piena di animali, ma devo l’idea a una tovaglietta rigida che ho trovato in un mercato delle pulci. Sopra erano rappresentate decine di bestie diverse, ognuna dentro una stanza all’interno di una collina stilizzata. Poco dopo ho scritto la sceneggiatura per un fumetto. Al tempo, però, toccare temi religiosi venne ritenuto eccessivo dall’editore a cui la proposi e… sarò sempre grato che quella strada sia sfumata. La storia, negli anni, ha avuto tempo di sedimentare e mettere radici, inoltre nella trama ha fatto irruzione il Duca, che auguro a tutti di incontrare. In un giorno buono. Il Duca, Fabio, Giulia e Marco… per quanto, mentre scrivo, io sia tutti i miei personaggi, questa volta è successo qualcosa di più. Protagonisti e comparse, nella Clavicola, sono il riflesso vivido dei miei amici. Al tempo ‘Fabio’ e ‘Giulia’, diciamo, hanno davvero fatto quel viaggio, quella ricerca, e poi c’è Pongo, un bastardino onnipresente. Ecco: Pongo recita se stesso.
Animalismo, ecologismo, avventura, amicizia, fede, destino, utopia, apocalisse… queste sono alcune delle parole che mi vengono in mente ripensando al romanzo. Ne vorresti aggiungere altre (o toglierne qualcuna?). Ti domando anche come fai a imbastire opere così complesse senza montarti la testa.
Il modo in cui i vari personaggi vedono la Clavicola, l’utopia di san Francesco, mi ha permesso di mettere in scena – senza sconti – l’animalismo più intransigente da una parte, e la realtà in cui viviamo dall’altra, messa a nudo dagli occhi di quattro ragazzini e dalla lucidità adulta (e atroce) di Sebastiano. Questa tensione è, forse, il nocciolo della storia, ma al di là di tutto la Clavicola non è che un libro d’Avventura, Amicizia y Amor. Riguardo alle parole chiave, quello che nasce come romanzo di formazione in qualche punto fra Torino, il Vaticano, Assisi e il Mare del Nord diventa un thriller apocalittico. Quindi… ok per Amicizia, Animalismo, Apocalisse e Avventura, ma se da una parte la narrazione inizia ad accelerare, all’altro capo dell’alfabeto aggiungerei Storia (anche se con la S maiuscola un po’ inquieta). In realtà, saltare fra le epoche ed esplorarne le anse nascoste è un gioco fantastico. Spesso, però, in film e romanzi, gli enigmi vengono risolti entrando in una biblioteca e leggendo la frase giusta, preferibilmente in latino. Ecco, in questa storia la caccia a Seb e alla reliquia ha toni realistici, e credo (spero!) che questo sapore di verità prepari chi legge anche alle derive più inaspettate. Nel romanzo si intrecciano epoche, voci, piani differenti e… sì, la Clavicola ha una trama complessa, ma semplice o meno, l’importante è che una storia scorra vivida, vera. Per quel che mi riguarda, lascio la complessità della scrittura al mio lato ossessivo. Per questo non inizio mai una storia se non la conosco intimamente. I dettagli verranno, ma lo scheletro di un romanzo va disseppellito al via, ogni singolo osso. Di solito, mi trovo a raccontare un nuovo romanzo, a voce, sin quando smette di avere attrito. In teoria. In pratica, c’è sempre un elemento chiave che è arrivato dopo, ineludibile. Nello Stagno sono stati i Sottili, che non mi aspettavo. Nella Clavicola, beh, c’è un dettaglio che Giulia trova su un giornale dell’epoca, ad Assisi. Nella realtà, come nel romanzo, quando ‘Giulia’ ha zoomato sulla foto di quell’articolo, il confine fra realtà e finzione è scomparso. È stato un attimo surreale, splendido e surreale.
Dopo Lo stagno di fuoco, è stato facile o difficile trovare un altro editore che voleva inoltrarsi nel tuo pazzeschissimo mondo letterario?
Assolutamente difficile e poi facile, d’improvviso. Mi spiego. Dopo lo Stagno speravo in un agente, anche perché lo stanno traducendo in inglese, e avrei voluto qualcuno che sapesse come muoversi con i diritti, ma è stato un vicolo cieco. Da quando, poi, la Clavicola ha preso la sua forma attuale, sono passati anni in cui la mia natura di orso non ha aiutato. Scavallata l’ipotesi-agente, ho spedito il romanzo a X case editrici in un’attesa speranzosa e un po’ disincantata. Alla fine mi sono messo a cercare una realtà nuova, ma che fosse di gusto e di sostanza, ‘of taste and wealth’, e ho scoperto 21lettere. La sinossi e la copertina del loro primo romanzo mi hanno conquistato. Ho ordinato L’addio a Saint-Kilda e, mentre aspettavo il libro in carta e inchiostro, ho inviato loro la Clavicola. Due settimane dopo dovevo andare a Roma proprio per una proposta editoriale, ma ho voluto bussare all’editore, Alberto Bisi, chiedendo se potessi passare da lui sulla via del ritorno. Caso ha voluto che in questo fast-forward, dopo anni al rallentatore, ci siamo incontrati nell’ultimo giorno possibile per viaggiare all’inizio dell’emergenza covid. Sono tornato a casa in bus dopo infinite ore di caos, ma da allora 21lettere ha dedicato a questo libro un entusiasmo partigiano e, quest’autunno, un editing minuzioso… ed eccoci al via, una vita dopo quella tovaglietta con Tutte le Creature. Un’ultima cosa, sul fronte editoriale, e a proposito di animali: i diritti d’autore del romanzo andranno a un’associazione che si occupa di migliorare le condizioni di vita negli allevamenti intensivi, Animal Equality.
Come continuerà il Nadir-verso? È inutile negarlo, lo so che starai già progettando qualcosa di ancora più ciclopico.
Nadir-verso mi fa un po’ impressione, ma sì, c’è un contesto comune ai miei romanzi. Innanzitutto, è più che probabile che il prossimo anno – dopo un lavoro di lima che già mi spaventa – Lo stagno di fuoco abbia una nuova vita editoriale. Per quanto la Clavicola e lo Stagno abbiano personaggi diversi e siano storie del tutto indipendenti, si muovono in un contesto narrativo comune e più ampio che negli anni ha preso una forma più viva, dettagliata. Lo scorso anno ho iniziato a scrivere il seguito de Lo stagno di fuoco, ed è una cosa che mai – mai – avrei immaginato. I libri dei gabbiani iniziano dopo l’ultima pagina dello Stagno. Quattro anni fa ho avuto una settimana insonne e improbabile (a Kyoto) in cui mi sono perso negli intrecci vividi che lo Stagno si lasciava alle spalle. Anche con una nuova trama fra le mani, però, ricomporre gli estremi di quel mondo, più che di quella storia, mi hanno richiesto tutto il tempo e le energie possibili e ho dovuto riorganizzare la mia vita per potermici dedicare, quanto possibile, ogni giorno. E ne sono felice.
Puoi dirci qualcosa di te, oltre la scrittura?
In pillole. Progetto (tanti) giocattoli che è possibile trovare un po’ ovunque, in giro per il mondo. Vivo con due cani, Pablo e Gin (o Djinn), e ho cresciuto un’asina, un cinghiale e, suona buffo, ho insegnato a volare a una passerotta che ha iniziato a beccare i semi fra le lettere della tastiera (i refusi? colpa sua). Nell’ultimo mese ho imparato un altro linguaggio per raccontare e mi sto divertendo a realizzare video per il lancio della Clavicola sulla pagina “di_santi_sbronze_e_animali”, ma questa vacanza ‘oltre la scrittura’ finirà – o rallenterà – perché I libri dei gabbiani sono una di quelle storie che non danno pace sino a quando non le hai finite. Spero di farcela. Lavorarci, anche solo pensarci, è una gioia immensa, ma i Gabbiani hanno una volta e mezza la mole dello Stagno e temo che ci vorrà un po’. Per ora ho messo giù le prime 200 pagine. L’antefatto, diciamo. Fin qui tutto bene. Per concludere la carrellata di quanto cova nell’ombra, è in lavorazione un progetto nuovo, non un romanzo. Si intitola La Grande Caccia e… mmm… no, Nadir-verso non si può sentire. In ognuno di queste storie c’è un orizzonte nuovo e più religione di quanto, da ateo, mi aspettassi: per ora chiamerei questo lungo arco narrativo ‘Neoeden’, poi, beh, poi si vedrà…