C’era una volta un uomo che ad ogni occasione gli si presentava prendeva in mano un libro, lo apriva, lo annusava, lo sfogliava per consentire al profumo di diffondersi, e lo leggeva, con passione, pur senza comprendere fino in fondo ciò che leggeva. Spesso.
Oggi leggo ancora e con passione maggiore, e per fortuna qualcosa in più capisco. Leggere “Se tutti diventassero re”, scritto da Giuseppe Foderaro, e pubblicato da Arkadia Editore nella Collana Narratori Eclypse al n. 142, mi ha dato la gioia di comprendere che la scrittura di Giuseppe è cresciuta, è maturata, ha raggiunto livelli importanti. Ho percepito sicurezza nelle frasi, nei periodi, nella struttura del romanzo che non vacilla mai.
Lo presento allora con grande soddisfazione, con grande gioia per lui ed il suo percorso di scrittore, sperando che molti decidano di godersi questa storia molto particolare, e caratterizzata ancora una volta da quella che io definisco una pacatezza speciale che l’autore possiede e diffonde con il suo sguardo, quando si ha la fortuna di incontrarlo, e ammantandone appunto le sue storie, pur se contengono fatti cruenti, graffianti, a loro modo provocatori, ma il tutto non scade mai in manifestazioni fuori controllo.
Il romanzo è costituito da due vicende, ambientate in tempi molto lontani, in luoghi relativamente vicini, e unite dalla storia che tutti abbiamo studiato e dall’arte di cui godiamo la bellezza.
I personaggi che si incontrano sono molti, ognuno caratterizzato con estrema precisione, collocandolo nella propria realtà a svolgere quello specifico ruolo pensato dall’autore, e vissuto dal personaggio nella vita della sua comunità. Il primo luogo in cui infatti ci troviamo, leggendo le prime pagine, è la comunità spartana, e nello specifico una grande famiglia di spartiati inserita nel preciso sistema di regole di un popolo fiero e coraggioso, ove ognuno ha compiti chiari, ma anche destini segnati, poche possibilità di un futuro sorprendente, inaspettato. Eppure tutto comincia con sorprese a profusione, fatti eclatanti che ci catapultano in un’epoca lontana dove Giuseppe Foderaro saprà farci stare molto bene e per molte pagine. La vicenda iniziale è un fatto drammatico e nello stesso tempo immensamente gioioso, un fatto dirompente, un evento che stravolge in un sol colpo la vita di almeno tre persone, regalando loro la gioia più grande, la gioia per la vita.
“Vedi che meraviglia la natura? Non sai mai quello che ti capita.”
Un uomo, una donna e un bambino, ci prendono per mano e ci accompagnano a scoprire e anche apprezzare l’originalità della loro vita quotidiana, insieme a riflessioni filosofiche molto puntuali, e considerazioni politiche che svelano sicuramente a tanti di noi realtà inaspettate. Sparta ed Atene, sembra non siano state proprio quelle che abbiamo conosciuto nei libri di scuola. La bellissima lezione di storia che attraversa la prima metà del romanzo, è perciò ulteriormente arricchita dalla concretezza degli usi e costumi quotidiani, regala momenti di lettura davvero piacevole, e a tal proposito vi segnalo alcune pagine per me davvero stupende, pagina 36, 74, 94 e 95. Per scriverle Giuseppe ha viaggiato molto, come Balthus, ha studiato ancor di più, ma ci ha messo molto del suo stile, del suo essere per regalarci pagine così belle.
“La gente dovrebbe tenere a freno la sua smania di giudicare chiunque solo per sentirsi importante o per vivere un attimo di gloria.”
Con questa considerazione di per sé quasi banale, ma di importanza capitale, il viaggio dei nostri spartiati fa un salto temporale di oltre 2.000 anni, ma continua ancora, ovvio con nuovi personaggi, che però mantengono elevatissimo il livello intellettuale di questo romanzo, e ci consentono di assistere ad una sorta di caccia al tesoro moderna, tra libri, studi, ricerche, alla scoperta del senso di un’opera potremmo dire, alla ricerca non tanto di un colpevole, ma del genio di un artista. Fantastico, meraviglioso questo percorso, che pur passando da tempi e luoghi che apparentemente non hanno nulla a che fare tra loro, mantiene inalterata la tensione positiva, la meraviglia, lo stupore della storia e dell’arte.
Prosegue la lezione di storia del nostro autore, attraverso parole e considerazioni dei suoi personaggi, ma prosegue anche tra le righe e non troppo nascosta, una chiara lezione di vita.
“…perché non si poteva supporre…che un’opera d’arte, qualsiasi essa fosse, non venisse generata e commissionata solo per appagare il piacere personale del committente, o per suffragare il suo stato di benessere, né tantomeno con il solo scopo di impressionare i suoi contemporanei, quanto piuttosto per raccontare semplicemente una storia, capace magari di attraversare i secoli?”
Lasciare delle tracce, profonde, nette, visibili, diffondere messaggi e parole importanti, essere presenza viva e significativa nel breve passaggio terreno che ci viene concesso, non è un automatismo, non succede per caso, bisogna decidere di farlo e talvolta non funziona nonostante progetti, impegno e passione.
Con questo nuovo lavoro, l’autore Giuseppe Foderaro, lascia segni e lancia segnali di grande rilevanza, e lo fa nel modo che gli riesce meglio, raccontando una storia, lunga, ricca, complessa, accattivante, bellissima e molto interessante, a mio modesto parere. E non è certo la prima volta. Bravo Giuseppe, ancora una volta un gran bel lavoro.
“Le parole lanciate al vento con troppa leggerezza attiravano disgrazie come un cadavere richiamava gli avvoltoi.”
Claudio Della Pietà