Lo scorso 5 Luglio 2014 presso la splendida cornice del Castello di Serravalle (anche detto Castrum) si è svolto un incontro letterario nell’ambito del Festival di Serravalle.
Fin qui le coordinate, tanto per dare l’impressione di essere un blog serio.
Ora i contenuti, che sono quelli che ci interessano di più.
C’era un caldo tremendo e una gara di triathlon che, nella sua parte ciclistica, ha costretto le forze dell’ordine a chiudere giusto qualche strada di Serravalle (praticamente tutte). Con queste premesse, ve lo confesso, mi sono chiesto quanti disperati della letteratura si sarebbero presentati all’ingresso del castello. Con mia sorpresa ho constatato che la gente che ama i libri se ne frega di tutto. Mentre mi godevo un tour del castello, con una guida molto gentile e preparata, ho visto arrivare a gruppetti il pubblico dell’evento e ne sono rimasto folgorato. Un pubblico vasto, tanto da occupare tutte le sedie predisposte dall’organizzazione (e vi assicuro che erano parecchie). Un pubblico vario sia per quel che riguarda l’età, per quel che riguarda la provenienza, ma soprattutto un pubblico competente composto da semplici lettori appassionati, professori, critici e addetti ai lavori.
Con una platea di questo tipo la pressione è tanta. Si è costretti a regalare alle persone un evento degno delle aspettative.
Ed è qui che il Festival di Serravalle si è superato, dando vita ad un vero e proprio capolavoro per drogati della letteratura.
L’evento constava due sessioni.
Nella prima sessione gli scrittori Antonio G. Bortoluzzi, Matteo Righetto e Paolo Zardi, moderati da Arabella Bertola (su di lei tornerò in seguito), si sono trovati a discutere sul tema “L’uomo dal Vajont all’apocalisse“. Discussione quanto meno interessante perché incentrata, tra le altre cose, sulla consapevolezza che la perdita dei valori e della trasmissione del sapere da padre e figlio sta minando la nostra società. Se volessimo trovare un filo conduttore tra i tre libri, verrebbe da dire che il XXI secolo immaginato da Paolo Zardi è diretta conseguenza di un mondo in cui i personaggi di Bortoluzzi e Righetto si sono estinti. Oltre a questo, l’altro argomento trattato con competenza è stato quello della lingua. Gli autori presenti, forse un po’ meno Zardi, lavorano molto su una lingua veneta letteraria. Una questione che rimane aperta, che parte da Zanzotto e che gli autori presenti al festival hanno molto a cuore.
Nella seconda parte l’argomento verteva su “Il romanzo dal veneto all’Europa“. Tre gli scrittori coinvolti, Romolo Bugaro, Francesco Maino e Mauro Covacich (per cui nutro una cotta letteraria che mi ha portato ad allontanarmi dai suoi libri). Oltre a loro, il critico e traduttore di Milan Kundera, il Professor Massimo Rizzante. A moderare, una vecchia conoscenza per chi frequenta questo blog con una certa assiduità: Alessandro Cinquegrani che, oltre ad essere stato un moderatore con i fiocchi, poteva tranquillamente sedere al tavolo anche in veste di scrittore Veneto.
Citare passi della conversazione avvenuta durante la seconda parte dell’incontro con gli autori è davvero difficile. Semmai fossi costretto ad usare l’espressione “troppa carne al fuoco” potrei doverla usare in questa occasione. Gli scrittori hanno illuminato con la loro competenza il pomeriggio che volgeva al crepuscolo con dei pensieri di una profondità che dovrebbe nutrirci quotidianamente. Li ho sentiti parlare di esperienze tragiche avvenute ad un passo da loro, di romanzo nord americano del sud, di storia e stile, di curatele fallimentari e cessi che perdono. Li ho sentiti parlare con talmente tanta tranquillità di argomenti complessi che se uno non stava attento rischiava di perdersi delle vere e autentiche perle. Ammetto che una delle frasi che mi ha colpito di più è stata pronunciata dal critico Massimo Rizzante. Nel discutere di scrittori si è chiesto se uno dei problemi dell’editoria oggi sia l’omologazione degli scrittori (n.d.r. spinta forse dall’omologazione delle case editrici e dalla legge della domanda e dell’offerta) e la mancanza di scrittori folli. Gentile Professor Rizzante, non sono nessuno, ma credo che lei abbia ragione. Siamo a corto di follia.
Non sono bravo a ricordare i nomi e quando vedo davanti a me degli scrittori di cui ho solo letto i libri tendo ad isolare tutto quello che non fa parte del nucleo letterario. Però so che un Festival non nasce dal nulla, che ci vuole lavoro, dedizione e passione. Sperando di non fare un torto agli altri organizzatori, vorrei citare Arabella Bertola come simbolo di questa passione e dedizione. L’immagine più bella è stata quella di averla vista emozionata al termine degli incontri, probabilmente perché si era appena resa conto che il pomeriggio era stato un successo. Nonostante il caldo infernale e un paio di corridori in bicicletta che avevano cercato di abbattermi.
Credo che il Festival di Serravalle, per quel che riguarda la parte dedicata alla letteratura, abbia trovato la sua formula. Sono convinto che le prossime edizioni bisseranno il successo di quest’anno e che questa manifestazione avrà lunga vita.
Ah, non c’erano scrittrici tra gli invitati, ne vogliamo parlare senza farla diventare una questione di genere?