Se morite piacete di più

by senzaudio

Assistiamo quotidianamente ad un incessante flusso di decessi. Morti per vecchiaia, omicidi, suicidi, incidenti sul lavoro, incidenti automobilistici, disgrazie varie che tolgono dalla nostra vita conoscenti e persone care. Fino ad un attimo prima c’erano e poi puff, sparite. Ognuno piange il proprio dolore. Lo zio, che pur novantenne, ci lascia, ci intristisce. Sappiamo che ha vissuto la sua vita, che con i problemi che aveva è stato meglio per tutti che se ne sia andato, ma ugualmente sentiamo uno spillo che ci trafigge sul collo e qualche lacrima scende. Tutto si svolge all’interno della nostra sfera familiare. Il decesso, le esequie, la tristezza diffusa rimane solo ed esclusivamente attorno a noi. Se fossimo egocentrici potremmo pure dire che siamo noi l’epicentro di tutta la faccenda.
Ma se ad andarsene non è vostro zio, un cugino, un cognato, ma un politico, un personaggio sportivo, un cantante o un attore, che succede?

Rest in peace - Riposa in pace

Rest in peace – Riposa in pace


Succede che improvvisamente si creano in maniere del tutto spontanea migliaia di piccoli epicentri di dolore, che utilizzando i social network si alleano in una rete di lacrime e parole dolci di sconforto per la perdita.
Mi sono fatto l’idea che alla base di questo fenomeno ci siano vari motivi: bisogno di fare rete con il dolore; il far vedere agli altri che si conosceva il povero sfortunato, il contrapporre ai freddi commenti ufficiali dei giornali e della TV dei sentimenti sinceri e la competizione del dolore.
Al momento della triste dipartita di un personaggio pubblico, sia esso pure di nicchia, come potrebbe essere un architetto o un fotografo, si assiste alla quasi inverosimile esplosione di amore e affetto nei suoi confronti. Non mi vergogno di ammettere che, il più delle volte, quando muore un pittore, non ho la più pallida idea di chi esso sia. Eppure, sulla mia Timeline di Facebook compaiono centinaia di messaggi, foto, dipinti, frasi di commiato strappalacrime. Rispetto all’esiguo numero di connessioni che ho sul mio profilo, la valanga di messaggi di dolore e amore produce lo stesso effetto di una valanga in montagna: scaraventa tutto più a valle.
Con l’avvento dei social network il fenomeno è aumentato, già, ma allora, prima di Facebook e Twitter, a chi diavolo lo andavamo a mostrare il nostro feroce dolore?
Quando morì Senna, e ne fui molto colpito, ricordo decine di ore di trasmissione dedicate alla sua memoria mentre il cadavere ancora non si era freddato, ricordo quotidiani interi dedicati a lui, ma in qualche modo il movimento veniva da una categoria che su quel tipo di emozioni ci lavora, ci fa ascolti e vendite.
Il movimento del dolore tramite social network pare fondare la sua legittimità sull’idea che un omaggio al defunto fatto dal signor nessuno sia più sincero. Se lo scrive Repubblica è scontato, se lo scrive Average Joe allora è sincero. Ecco perché fioccano le foto del morto con annesse frasi celebri, si spargono i R.I.P come fossero coriandoli e fioccano i “Mi piace” su immagini commemorative.
Un altro aspetto da analizzare, a mio parere quello più interessante, è il fatto che condividendo il dolore per la morte di una persona che spesso non abbiamo conosciuto, su Facebook e Twitter, lanciamo un segnale luminoso che dice: se anche tu come me stai soffrendo per questo motivo, mettiamoci in contatto, facciamo rete perché abbiamo qualcosa in comune e siamo simili.
In un particolare momento sociale di straniamento dell’individuo, anche la morte di un motociclista permette agli utenti di aggregarsi, al pari della passione per una rock band. Il fondamento dei social network, quello di far rete, non è quindi stravolto dall’uso del dolore, è solo reiterato.
Infine, io non sottovaluterei nemmeno la competizione. Pare infatti che ancor prima che il funerale sia celebrato, molti utenti si battano a colpi di post per decidere chi stia soffrendo di più per la perdita. Per chi legge questi interventi è traumatico rendersi conto che questi poveretti affranti dal dolore non sono nemmeno stati invitati alle esequie e che per giunta il defunto non ha nemmeno avuto il buon gusto di nominarli nelle sue ultime volontà.

Sarà scappato pure a me di metter un like ad una foto di Simoncelli, un commento breve ad uno status che piangeva la morte di Michael Jackson o di aver versato una lacrima davanti ad un video tributo su Youtube. E’ umano, si chiamano sentimenti. Ma anche i sentimenti, se usati nel modo sbagliato perdono di valore. E’ per questo che io piango i miei morti in silenzio.

Ultima cosa.
Se la classe politica si stesse chiedendo come recuperare parte dell’appeal perso negli ultimi giorni…

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