Se mi vede Cecchi – Gadda/Parise

by senzaudio

In Italia potete trovare lucenti biografie di terzini sinistri e presentatori destri ma, può sembrare strano, non esiste una biografia di Carlo Emilio Gadda, cioè di uno dei più importanti scrittori del novecento italiano, uno dei pochi di calibro europeo, per non dire mondiale, per non dire maradagaliano. Quindi voi potete entrare nella vostra libreria di fiducia e trovare un prodotto editoriale peninsulare dedicato alla vita di Antonio Cassano, cassanata per cassanata, mentre per l’autore della Cognizione del dolore, oltre agli occhi strabuzzati della commessa, non troverete nulla. Dovrete accontentarvi di Wikipedia.
A dire il vero su Gadda esiste una sterminata bibliografia, in gran parte critica, con delle rare e segmentate eccezioni biografiche, come diversi libretti di Arbasino, un paio di ricerche più che interessanti sui suoi anni da soldato (Il duca di Sant’Aquila di Carlo Roscioni e La guerra di Gadda di Antonio Daniele) e soprattutto Il gran lombardo di Giulio Cattaneo, uno splendido e dimenticato einaudi che, partendo da frasi e aneddoti gaddiani, ricostruisce gli incredibili anni romani dell’ingegnere, impiegato al terzo programma rai. Non esiste però una biografia dalla nascita alla morte, gaddata per gaddata.
Prima che uscisse L’epistolografo bugiardo, un saggio che, oltre a confermare la irriducibile compenetrazione tra i suoi libri e la sua vita, ha svelato le tante maschere gaddiane, leggendo i vari carteggi gaddiani (saporosi quelli con Citati e Roscioni, i suoi editors (cioè, Gadda aveva per editor Citati!); speziati quelli con Einaudi e Garzanti; un gioiello d’altri tempi letterari quello con Gianfranco Contini, che ancora potrebbe rivelare sorprese, nel senso che alcune lettere, compromesse dall’alluvione di Firenze, sono in recupero) il lettore poteva illudersi di farsi un’idea in merito ad alcuni passaggi decisivi della vita del Gaddus. Da quello studio in poi la portata biografica delle sue lettere è stata ridimensionata, tuttavia il piacere di entrare in contatto col Gadda persona, il Gadda epistolografo, è rimasto integro. Fra i carteggi che ancora mancavano c’era quello con Goffredo Parise che vede ora la luce per Adelphi con un magniloquente apparato critico di Domenico Scarpa, così magniloquente che viene naturale rimpiangere l’eclissi della filologia dai piani alti delle nostra cultura. Se mi vede Cecchi, sono fritto è, ad essere sinceri, quel che rimane del carteggio Gadda-Parise, perché Gadda mica le conservava sempre tutte le lettere altrui, e il rapporto epistolare risulta nettamente sproporzionato, solo in parte bilanciato da una serie di scritti di Parise (in parte editi) sul venerato maestro.
Agli occhi di Gadda il giovane e moderno Parise è l’incarnazione dell’impeto, della follia e del coraggio che lui avrebbe tanto voluto avere; agli occhi di Gadda, Parise è forse la reincarnazione del fratello Enrico, eroicamente morto in guerra mentre a Carlo Emilio era toccata la resa ai nemici e l’ignominia della prigionia. Parise sfreccia su bolidi potenti e Gadda di tanto in tanto si fa scarrozzare per Roma, ovviamente con una serie infinita di paranoie (da cui la frase del titolo). Ma quello tra i due è un rapporto destinato a spegnersi: troppa distanza, troppo ego e qualche intrallazzo di troppo, nella fattispecie da parte di Parise che si intromette fra Gadda e Bompiani in un momento di tensione fra i due, “in un tavolo di rapporti editoriali intricati e inamovibili come una mano di shangai”, scrive Scarpa.
Il Gadda che conosciamo attraverso le lettere a Parise è un uomo tormentato dagli altri uomini, ovviamente quelli che lo vogliono vedere morto sulle sudate carte (gli editori, Garzanti in particolare: “sono a tutt’oggi in mora con gli editori che più mi premono”), ma anche quelli che lo vogliono premiare: impensabile salire a Milano per ritirare un secondo posto; altrettanto impensabile rallegrarsi troppo per il Prix International des Editeurs, dove nel 1963 Gadda si era imposto su Nabokov, Gombrowicz, Salinger, Burroughs, Vargas Llosa:

Dal giorno dell’inatteso annuncio, non ho avuto la possibilità di disporre di un briciolo del mio tempo, del mio contegno, dei miei atti, dei miei propositi. Sono diventato uno schiavo, anzi un bambolotto, una pupazza agitata dal tirannico volere altrui.

Fra i pregi di Se mi vede Cecchi, sono fritto, ça va sans dire, c’è la scrittura di Gadda, che quando non si limita a cartoline postali (molto in voga fra gli scrittori in quei tempi cartacei) raggiunge livelli avvicinabili a quelli delle sue opere, una scrittura, se possibile, pervasa da una maggior tensione di quella puramente letteraria. E’ quasi elettricità, quella che attraversa l’esistenza dell’ingegnere, come se la sua vita irrequieta uscisse dalla penna e si riversasse direttamente nelle lettere, con meno mediazioni di quanto accade nei libri; ne sono prova l’abbondante uso di termini come concomitanze e concause, un vero termometro dello stato d’animo all’interno del dizionario logico-filosofico gaddiano, termini in cui il gran lombardo amava far confluire ogni genere di rottura di scatole da parte della vita. Parise fu un’amicizia breve e intensa, un vero toccasana per le nevrosi gaddiane: “da quando tu hai lasciato l’urbe le mie difficoltà nervi-cervello-cuore-fegato sono andate lentamente aumentando”.

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