Se i maestri stanno a guardare

by senzaudio

Siccome parlo di letteratura siete autorizzati a lasciare il sito ora.
Per chi resta.
Quando finisco di leggere un libro che mi è piaciuto mi trovo di solito davanti a due casi ben chiari.
Il primo. Il libro mi è piaciuto talmente tanto che non appena ho voltato l’ultima pagina e posato gli occhi sull’ultimo punto mi viene una voglia matta di prendere il portatile e iniziare a scrivere un libro tutto mio.
Il secondo caso invece è di segno opposto. Finisco il libro, lo appoggio sullo scaffale della libreria e me ne rimango lì, quasi inebetito, a chiedermi come sia possibile che una persona costruita su un DNA presso che uguale al mio sia riuscita a costruire, raccontare e farmi entrate dentro ad una realtà così plausibile da lasciarmi con la sensazione di aver dovuto dire addio alla mia città natale e ai miei migliori amici. Quando succede questo, mi dico che non scriverò mai più una singola riga.
La differenza dove sta? Non lo so di preciso. Immagino che la prima tipologia di libri sia più accessibile, che racconti una storia che credi di poter raccontare anche tu. Probabilmente nascondono bene la complessità della creazione mascherandola sotto una coltre spessa di semplicità. Nell’altro caso invece ci troviamo davanti ad un puro e semplice capolavoro. Ti rendi conto che non c’era altro modo diverso da quello per raccontare quella storia e che ogni singola frase è cesellata con maestria da artigiano navigato.
Gli autori del primo tipo di libri li vorresti come amici, per ritrovarti con loro ad un bancone di un bar a bere una birra, sgranocchiare due noccioline e chiacchierare dell’ultima partita di calcio che avete visto. Sono quegli incontri che ti servono all’inizio, che ti spronano un po’ ad andare avanti, senza i quali ti sentiresti impantanato in una pozza densa e scura con la tendenza, nemmeno tanto nascosta, a volerti risucchiare verso il basso.
Gli autori del secondo tipo invece li vorresti come maestri, perché sai che con loro non riusciresti mai ad intavolare un discorso rilassato, non riusciresti mai ad arrivare al tu anche se te lo chiedessero, ma non te lo chiedono, perché in effetti loro lo sanno di essere tuoi maestri e ci tengono a mantenere una certa distanza.
Per cui, inconsciamente ti trovi ad avere uno scaffale pieno potenziali amici, compagni di bevute, che magari alle tue paure sulla scrittura rispondo con un: buttati che si tocca; e uno scaffale di arcigni maestri, gente che è probabilmente pure simpatica, ma che tu guardi con terrore e che nutre le tue paure con la responsabilità di dover giocare in un’arena nella quale i gladiatori più forti sono loro.
Non ti dicono che si tocca, ti fanno intendere che sotto, sul fondale limaccioso, strisciano mostri imprendibili e famelici.
Vorresti chiedere ai tuoi amiconi, quelli che ti danno una pacca sulla spalla, come facevano i tuoi amici in adolescenza per incoraggiarti ad abbordare una bella ragazza, gli vorresti chiedere come hanno fatto a liberarsi dello sguardo dei maestri ma temi che la risposta sia uno di quei segreti che devi trovare da solo, il segreto che da il via alla letteratura.
E allora, ogni volta che apri un libro per la prima volta e inizi a leggerlo, speri in cuor tuo che non sia quel libro che ti terrà distante per sempre dalla penna, ma che sia l’unico libro che faccia scoccare quella scintilla che farà mettere in moto un motore bellissimo e pieno di responsabilità.

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