Mi sono fatto l’ennesimo caffè. Ho preso in mano la tazza e mio figlio mi è corso incontro per abbracciarmi. Ho sporcato la tovaglia e sulla superficie bianca a fiori è comparsa una macchia. Ecco, ho pensato, questa sarebbe una copertina perfetta per “Andanza“. Una macchia di Rorschach ci dirà quello che siamo o ci dirà quello che diventeremo?
Quando mi è arrivata la busta con dentro “Andanza” mi sono sentito spiazzato. I libri NN hanno una rigidità controllata, un’elasticità latente. Questo no. La busta invece sembrava contenere un piccolo mattoncino. L’ho aperta e il mattoncino si è rivelato colorato di giallo. Toh, questa non me l’aspettavo, mi sono detto.
L’ho preso in mano, studiato, sfogliato. Il titolo diceva “Andanza. fine un diario”, Ongoingness, the end of a diary. E ho capito che in effetti il formato hardcover mi ricordava i miei primi diari di scuola pieni di foto di calciatori e rock star. Il tuffo all’indietro è stato un carpiato.
Questo libro racconta la vita e la morte di un diario, il diario di Sarah Manguso. Chi ha letto “Il salto” troverà familiare la scrittura dell’autrice. Il suo approccio nei confronti della materia trattata va in profondità, ma lo fa con un certo distacco. Cerca di prendere le distanze per vedere meglio, come quando ci allontaniamo dal particolare per avere chiara l’immagine d’insieme. Mentre leggevo mi saltava continuamente in testa la parola: asettico. Non so se può rendere bene l’idea di quanto ho letto in “Andanza”. Il fatto è che Manguso cerca di affrontare la questione “diario” in maniera quasi scientifica. Il valore aggiunto è che questo tipo di approccio ci porta ad essere ancora più legati e attirati da ciò che scrive. Mi sono ritrovato, dopo venti pagine, a dire: Spiegami, Manguso, spiegami quello che io non riesco a capire.
Il motivo dichiarato dalla Manguso, il motivo che l’ha spinta a scrivere un diario per decenni ha a che fare con la memoria e il ricordo. L’autrice scrive perché se non lo facesse non le sembrerebbe di aver vissuto. Scrive il momento per non perderlo, per non farselo togliere via dall’oblio della memoria. Ma l’autrice scrive anche per essere ricordata, per lasciare una testimonianza di sé. Nessuno di noi vuole essere dimenticato. Scrivere in modo quasi ossessivo della propria vita significa lasciare una testimonianza di sé ai posteri. Che poi siano loro a decidere cosa farne.
Questo libro è quindi un susseguirsi di riflessioni sul tempo e sulla memoria, sulle tracce che lasciamo quando calpestiamo la terra soffice di questo pianeta, sui sogni e le aspettative e sulla dannata e unica realtà.
Poi Sarah Manguso ha un figlio. Le cose cambiano.
“Poi sono diventata madre e ho iniziato ad abitare il tempo in modo diverso.”
Il parto le lascia in eredità problemi di memoria. Non ricorda le cose, ma il figlio è lì che le ricorda il presente ed è anche un segnale che il futuro si ricorderà di lei.
Prima di diventare madre pensavo di potermi chiedere, Come posso sopravvivere se dimentico così tanto?
Poi ho capito che i momenti dimenticati sono il prezzo della partecipazione continua alla vita, una forza indifferente al tempo.
Il diario non serve più.
Proverò a dirlo in un altro modo: quando sono con mio figlio sento la velocità tonificante del viaggio di sola andata che guida l’esperienza umana.
Ottima traduzione di Gioia Guerzoni, ma non è di certo una novità.
Le illustrazioni sono invece di Marco Petrella. Se ci perdete le ore a capire che tipo di immagini facciano uscire dalla vostra mente sappiate che siete perfettamente normali.
Chissà che questo nuovo formato proposto con il libro della Manguso non dia il via ad una nuova “collana”, una nuova serie di libri, piccoli, agili, fruibili in poco tempo, ma dal contenuto che ti si aggrappa alla giugulare per parecchio tempo.
Sarah Manguso vive a Los Angeles ed è autrice di short stories, poesie, memoir, tradotti in cinese, tedesco, portoghese e spagnolo. Ha ottenuto il supporto della Guggenheim Fellowship e della Hodder Fellowship e le sue raccolte di poesia Siste Viator e The Captain Lands in Paradise hanno vinto il Pushcart Prize. I suoi saggi sono apparsi su Harper’s, McSweeney’s, The Paris Review, The New York Review of Books e sul New YorkTimes Magazine. Ongoingness (di prossima pubblicazio ne per NNE) è stato nominato “Editors’ Choice” del NewYorkTimes.