Purity – Jonathan Franzen

by senzaudio

Chi leggerà questo libro aspettandosi un attacco alle promesse utopiche di Silicon Valley (così il romanzo è stato presentato in mezzo mondo) o “alle dinamiche sociali da prima superiore” di internet (Il progetto Kraus, p. 79) resterà deluso: Purity è semplicemente l’atto di fede di uno scrittore nei confronti della narrazione e della sua ricchezza. La principale sensazione provata durante la lettura è stata quella che non avrei potuto sopportare la stessa scena, con gli stessi personaggi, gli stessi accadimenti e gli stessi dialoghi, impoverita in una versione cinematografica. Necessità della scrittura, quindi, e della lettura, perché da me Jonathan Franzen trova sempre (e con facilità) quella che Benjamin chiamava “l’ora della leggibilità”: i suoi libri sono viaggi nei territori della coscienza e Purity è l’ennesimo grande romanzo franzeniano, né più né meno degli altri.
La cosa che non manca mai di sorprendermi è la sua capacità, agli antipodi della audace ricerca stilistica dell’amico Wallace (a proposito: a pagina 471, dopo aver letto di “spargere le ceneri”, troviamo “come per rendermi partecipe di uno scherzo, indicò lo schermo del televisore”…), di scrivere grandi romanzi senza alcuna ricerca dell’effetto, un po’ come se il ventesimo secolo (secolo della sovra-eccitatazione anche nelle arti) fosse passato senza lasciare grosse tracce: le profonde innovazioni della narrativa novecentesca, dal flusso di coscienza del modernismo agli spasimi ironici del postmoderno, non trovano spazio in Franzen che invece sembra attingere direttamente alla sobrietà del romanzo sociale e psicologico ottocentesco. Naturalmente non si può ignorare che Le Correzioni fosse ispirato a un romanzo sperimentale di William Gaddis, ma si trattava semplicemente degli ultimi fuochi sopravvissuti alle fiammate degli esordi, perché di fatto le opere di Franzen si sono fatte via via sempre più ottocentesche, per l’esattezza flaubertiane a balzachiane, romanzi “popolari e coinvolgenti”, come auspicava nel celebre Perché scrivere romanzi? del 1996.
In quello stesso scritto Franzen sosteneva che la parola che meglio descriveva la visione del mondo di un romanziere era “tragica”, fondamentalmente perché il termine permetteva la giusta “distanza dalla retorica dell’ottimismo che pervade la nostra epoca”. Ecco, Purity è la quintessenza di questa visione del romanzo diluita nella sua visione del mondo (i limiti del tecno-consumismo) che abbiamo conosciuto nel recente saggio su Kraus (che evidentemente, vista l’ampia ambientazione tedesca di Purity, ha fornito il disegno preparatorio del romanzo).

La materia era informazione, l’informazione materia, e solo nel cervello la materia si organizzava a sufficienza da essere consapevole di se stessa; solo nel cervello l’informazione di cui il cervello era fatto poteva manipolare se stessa.

Quando, verso la fine di Purity, un personaggio dice di aver studiato letteratura per un vita intera (più precisamente Shakespeare) e che per questo può affermare di sapere “un paio di cosette sulla psicologia umana”, quel personaggio ci ricorda che, se è vero che la letteratura ha perduto la sua centralità per l’avvento delle scienze umane, nulla le vieta di continuare a proporsi, esattamente come faceva fino a un secolo fa, come uno sguardo libero e privilegiato sull’umanità, uno sguardo che, rinunciando alla matematizzazione dello scibile, continua a proporre un tipo di sapere, intuitivo ed incandescente, ancora utilissimo all’uomo, anzi, oggi più utile che mai, oggi che la materia, nell’ultimo illusorio passo del nichilismo occidentale, è ridotta a informazione, oggi che il fine dell’esistenza risulta sempre più imperniato sul dispositivo stimolo-risposta.
Si tratta di uno sguardo, quello del romanzo, che avrà maggiori probabilità di produrre conoscenza quanto maggiori saranno i legami col mondo narrativo classico, col fabulare che ha preceduto la disgregazione del narrare novecentesco. In questo Purity non si pone limiti, traendo linfa da quelle che sono le matrici di tutta l’affabulazione occidentale, in particolare da quella tragica; già dal secondo capitolo infatti, La Repubblica del cattivo gusto, in cui si racconta l’ascesa di Andreas Wolf, poeta kunderiano che si ritrova wikileakers alla Assange, l’umanesimo shakespeariano si fa paradigma: alle monarchie medievali si è sostituita la democrazia, ma i destini continuano a intrecciarsi in trame che sembrano sortilegi (per inciso: se c’è un limite in Purity è proprio nelle numerose agnizioni da drammone, che in certi passaggi portano il romanzo a risentire di verosimiglianza).
Ma Franzen si spinge ancora più indietro, si spinge fino alla tragedia greca: la protagonista del romanzo è l’eponima Purity, e attraverso di lei, come un vaso di Pandora californiano, come una Elettra americana, la purezza passa tra le mani di tutti i personaggi. Possiamo infatti dire che Purity è semplicemente il tentativo di rispondere a questa domanda: cosa succede quando la Purezza se ne va in giro per il mondo? Succede che Purity cambia ogni personaggio del libro, lo modifica nella sua essenza, lo porta alla crisi interiore. E’ un eterno ritorno, quello della Purezza, anche per chi non ne vuole sapere e l’ha allontanata dalla propria vita. Perfino la mefistofelica figura di Wolf (uno che arriva a dire “non ho niente da darti tranne la verità”), portatore di segreti terribili ma che vive di segreti altrui, in seguito all’incontro con la Purezza riscopre per un attimo la propria idealità. Perfino il meraviglioso personaggio dello scrittore Charles Blenheim, ridotto all’abbrutimento più dall’alcol che della sedia a rotelle, grazie all’incontro con Purity può intrattenere commerci quotidiani con la Purezza e pervenire all’amara verità (ultima frontiera del materialismo letterario iniziato dal “sacco di trippe tiepide” di Céline) che l’uomo non è altro che un enzima nobilitato.
E Purity? Com’è il suo incontro con la Purezza? È un appuntamento a lungo rimandato, a partire dal rifiuto dell’ingombrante nome di battesimo (cui preferisce l’agile Pip), per passare alla confusa vita sentimentale e professionale che per lunghi tratti ce la fa apparire come l’ennesimo personaggio femminile franzeniano indolente e inappagato. Poi, nel prosieguo dell’opera, mano a mano che è costretta a fare i conti con se stessa e con l’idea di un sé impuro, Pip scopre di essere qualcosa di diverso. In lei intravediamo dapprima l’Elettra euripidea, inerme e passiva, poi quella sofoclea, attiva e determinata ad affrontare un destino che l’ha portata a condividere un assassinio e a sfiorare l’incesto. E’ il nodo centrale di Purity, romanzo che rivitalizza (con superamento incluso) il tragico classico, ponendo a motore della vita, invece dell’incomprensibile e inattaccabile Fato, le strutture sociali: i personaggi sono immersi in condizionanti legami familiari (come sempre in Franzen dei formidabili tritarifiuti creati appositamente dall’occidente per macinare e portarsi via sentimenti repressi e risolvere interruzioni di comunicazione) che, a differenza dell’Ἀνάγκη greca, risultano attaccabili e modificabili.

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