L’estate dell’82

by senzaudio

La formazione dei campioni del mondo 82

L’Italia campione del mondo 1982

Apparentemente, ad un certo punto, i ricordi d’infanzia si affastellano tutti assieme e diventano temporalmente indistinguibili. Se guardi indietro li vedi tutti lì, messi uno dietro l’altro, sembrano tutti momenti accaduti nello stesso momento.
Per me però, c’è un preciso evento che riesco a vivere con profondità di campo. I mondiali dell’82.
Avevo sei anni, un po’ troppo piccolo per capire cosa stesse succedendo, ma dell’età giusta per riuscire a sentire che per gli adulti stava capitando qualcosa di elettrizzante. Faceva caldo, ma ad un bambino del caldo non gliene frega niente.
Quell’estate, io e mia madre, andavamo dai miei nonni e dagli zii a dare una mano con il loro banchetto di frutta e verdura. Era lei a dare una mano, io pensavo solo a giocare con Black il cane. Ci andavamo con il suo motorino, un Califfone rosso con un enorme parabreeze, lei sul sellino e io sul porta pacchi abbracciato ai suoi fianchi.
Ricordo che mentre mia madre stava fuori, in mezzo ai clienti tedeschi, io facevo la spola tra casa e banchetto. La partita era Brasile-Italia, le dovevo comunicare il risultato e di giri avanti e indietro ne ho fatti tanti. Poi, la sera, tornando a casa, c’era la gente che festeggiava, si diceva che avevamo battuto la squadra più forte. C’erano macchine che suonavano, uomini a torso nudo che gridavano e qualcuno, un po’ macabro, aveva costruito una finta bara e sopra ci aveva messo una maglia del Brasile. Mi sono sempre chiesto se la bara l’avesse costruita apposta o la tenesse da parte per un’occasione propizia e se, in futuro, l’abbia riutilizzata.
Poi i giorni sono passati, tutti uguali per quel che ne so. Non ho ricordi della semifinale. Ho scoperto anni dopo che l’abbiamo vinta contro la Polonia.

All’improvviso, il tempo fa un balzo in avanti. Siamo a casa mia, siamo tutti seduti attorno al tavolo in salotto, inchiodati davanti alla TV. Sento, palpabile, l’eccitazione, lo zio per l’occasione è venuto a mangiare da noi. E io adoro quando lo zio si ferma. Mio nonno, bicchiere di vino davanti a sé, due sigarette che gli devono bastare per tutta la sera, indossa una canottiera a coste senza maniche, di quelle che vedi addosso ai contadini e ai muratori. Mio nonno però fa il contadino, quando non lavoro come infermiere. Ha la schiena arrossata dal sole. Già, la schiena.
Abitiamo in una località di mare, a poche centinaia di metri da uno dei più grandi campeggi d’Europa che d’estate si riempie di tedeschi. Sul litorale, d’estate, si riversa la Germania. Non ci potrebbe essere finale peggiore di Italia-Germania per noi. E quella finale sarà.
Le finestre e le porte di casa sono aperte per far girare un po’ d’aria, ma non si muove una foglia. Sento però il brusio della gente che si prepara alla partita.
Io saltello da una parte e l’altra, non so se ho capito cos’è il calcio e come si gioca, ma vedo negli sguardi dei miei famigliari che è qualcosa di importante. Ad un certo punto sento mio nonno che urla. Rigore!
Fuori c’è un urlo di disapprovazione. Si avvicina un giocatore vestito d’azzurro, tira, ma la palla esce, di poco ma esce. Un urlo di gioia sale dal campeggio e entra dalla porta. Mi immagino la disperazione degli italiani sovrastato dall’energia gioiosa dei tedeschi. Mio nonno bestemmia con un’intensità paurosa. Non dovrei, ma rido.
Passano altri minuti. Facciamo goal. E il campeggio di nuovo sprofonda nello sconforto. I tedeschi però sono tosti, sul campo e pure come tifosi. Continuano ad incitare la loro squadra. Ne va del loro onore. Si dice che già gli italiani gli rubano le donne, non può capitare anche con la coppa del mondo.
Segnamo ancora. C’è un signore anziano con la pipa che, seduto tra gli spettatori allo stadio, si alza e gioisce. Attorno a lui gli altri sembrano pacati e pure troppo calmi. Le voci fuori si fanno flebili. Mio zio inizia a saltellare e io, senza capire perché, lo imito. Poi comincia a ridere fragorosamente e dare pesanti schiaffi a mano aperta sulla schiena del nonno che gli dice di smetterla. Lo fa con un sorriso, anche se i segni rimangono. Mio padre e mia madre ridono, mia nonna che era in cucina a leggere il giornale si unisce a noi.
Segnamo di nuovo, per la terza volta. La voce del campeggio si spegne. Non si rianima nemmeno sul 3-1
Non solo le donne, pure la Coppa del Mondo.
L’omino vestito di nero porta la mano alla bocca e fischia. Il signore anziano si alza e allarga le braccia verso il campo, come a voler abbracciare la squadra. Si vede che è felice.
In casa si brinda con la birra, perché è fresca, o forse perché viene dalla Germania.
Usciamo tutti ad ascoltare il rumore della serata, ora si sentono caroselli continui, colpi di clacson. Qualcuno ha tirato fuori i camion e i trattori, li ha caricati di gente e gira per le strade.
Sono tutti felici, per una notte.
Anche noi siamo felici.

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