di Luca Fausto Momblano.
Occhi strani riempiono stanze strane. Gli occhi sembrano quelli di Tommaso e Livio da giovani. Ma non sono più loro. Erano fratelli, una volta. Condividevano le loro passioni. I corpi invece adesso sono confusi anche se trattengono ancora l’illusione di sapere sempre cosa fare. Una cosa oggi e una anche domani. Questa e quella. Questa prima e quella dopo. Tutt’apposto. E poi invece si rimane soli. Due diviso due. Uno. “Non c’è più il mare di una volta”, bofonchia Tommaso. Quando si nuotava fino a toccar la Luna, pensa Livio. Ballano sì e no due anni. La gente è strana quando si è estranei. Questa convinzione trasuda da tutto ciò che c’è intorno. Trasuda dai muri. Mobili non ce ne sono più. Il rubinetto è chiuso. Quando si è estranei ci si fissa i capelli. Quando si è strani non ci si guarda con gli occhi. E quando la musica è finita, si spegne la luce. E’ un gesto che azzera tutto. C’è il sentore che tutto poi possa ritornare come una volta. Come nulla fosse. E invece anche quelli dopo sono ancora giorni strani. Si respira in stanze strane. Si parla con gente strana. Stranieri. Marinai consumati. “Nineteen-sixty-seven”. Wow. E che, uno slogan? Era il tempo del tempo che cambiava? No. C’erano ragazze perse allora e ci sono oggi. Ragazze strane. Ragazze anche tristi. Gente che ama due volte. Senza fratelli. Gente strana. Frasi strane. Giorni strani. Ma sempre più o meno gli stessi. La vita è la cosa più minimale che ci sia. Come un asciugamano bagnato lasciato sotto il sole della California. Alla fine brucia. Come Tommaso e come Livio. Brucia strano.