Eravamo tutti vivi è il romanzo di esordio, edito da Marsilio, di Claudia Grendene, quest’ultima allieva della Bottega di narrazione, la scuola di scrittura creativa di Giulio Mozzi. Non è inutile specificarlo, perché fin dal primo contatto con l’architettura del romanzo possiamo intuire di essere di fronte a una costruzione meditata e rigorosa, sforzo reso necessario dalla sua non linearità cronologica e di personaggi. E man mano che si procede nella lettura, vi si conferma la mano sicura dell’autrice nel guidare il lettore nei percorsi della trama, ricca di flashback intersecantesi e con vertiginosi salti temporali sia in avanti che indietro. Il rischio di perdersi era alto eppure non succede: chi legge segue i personaggi con passo sicuro e veloce – man mano che cresce la curiosità di capire più di loro – e mette insieme senza difficoltà i vari pezzi che l’autrice fornisce, fino ad arrivare a completare il puzzle e avere un ritratto “di famiglia” completo.
È stato definita una narrazione generazionale, e di questo si tratta in effetti: i protagonisti sono uomini e donne viventi nel 2013, che sono stati studenti universitari nel 1993, e tutto quello che ci sta in mezzo. È un romanzo cittadino, concentrato com’è su Padova (con una breve puntata nella vicina Venezia) e ne descrive bene la vita universitaria, dagli spritz in piazza Erbe ai concerti al Pedro, dai ritrovi al Liviano alle passeggiate alla Specola e così via. Si tratta in gran parte di una Padova-bene, popolata quasi esclusivamente dai rampolli di famiglie ricche che manifestano contro il sistema di quei genitori che li mantengono, inconsapevoli del cortocircuito logico che li porterà da adulti ad abbracciare in toto quello stesso mondo. Ma vi sono anche – fra i protagonisti – figure ai margini, come Chiara, che viene dalla campagna portogruarese e la cui traiettoria vitale è improntata al sacrificio, o Isabella, la famiglia della quale la ricchezza borghese invece l’ha persa, e con lei stessa risucchiata nel vortice dell’insegnamento precario. Vi entra quindi anche la Storia, quella della crisi dei partiti e degli ideali del dopo-Tangentopoli, che si prolunga fino alla difficile congiuntura economica seguita al crash economico del 2008.
Si diceva ritratto di famiglia, e in effetti è così che vede il gruppo di ragazzi una di loro, Chiara, quella forse più estranea all’ambiente patavino e che in quella compagnia cerca una disperata fuga dalle proprie umili e umilianti origini. Ma ci si riflette in uno specchio rotto e crepato, dove le venature prima o poi si allargano, rendendosi così visibili anche all’occhio nudo – pure del lettore – e sfilacciando le sottili trame della ragnatela di sentimenti e amori impossibili, oltreché approfittantesi e traditori e incestuosi, che legava tutti loro. Deus ex machina intorno a cui ruota la narrazione è la morte di colui – Max – che del gruppo era non leader, ma punto di riferimento amato come era da più donne, la stessa Chiara e la volatile Agnese. E, in sostanza, sono le donne il motore ultimo del romanzo: gli uomini, a partire dallo stesso Max, si rivelano deboli e svevianamente inetti, alla ricerca di un riscatto altro rispetto alla loro esistenza. Mentre invece i personaggi femminili rimangono ben piantati nella loro realtà, ci soffrono e si disperano ma non la lasciano mai andare e anzi la tengono strettamente legata a se stesse, accettando le sofferenze che porta, consapevoli come sono della circolarità delle cose e della consistenza e inconsistenza del reale, là dove la stessa Grendene lo esplicita più volte con la storia di Zhuang-zi, che un giorno si svegliò credendo di essere una farfalla, poi non sapeva più se era Zhuang-zi che credeva di essere una farfalla o una farfalla che credeva di essere Zuang-zi. Ed è quello che succede ai personaggi di questo romanzo – profondo nella sua espressione filosofica – così come a noi stessi: non sappiamo più se siamo farfalle o esseri umani, e cerchiamo conferme della nostra identità in un mondo circostante che però non ha risposte per noi, non tutte almeno.
Claudia Grendene è nata a Villafranca di Verona nel 1972. Vive a Padova. È laureata in Filosofia. Lavora in una biblioteca di quartiere.