Lawrence Ferlinghetti, amico di Allen Ginsberg, Gregory Corso, Jack Kerouac non è mai stato organico alla Beat Generation. Anche se lo hanno sempre considerato uno di quella generazione, lui non si è mai sentito fino in fondo un poeta beat.
Oggi è l’unico sopravvissuto di quella compagnia di ribelli e, nonostante la veneranda età, il grande genio, l’agitatore culturale è un necessario punto di riferimento letterario e culturale.
Ferlinghetti, detto «il Prevert d’America» per la straordinaria popolarità delle sue poesie, è stato animatore del Novecento e della vita culturale di san Francisco con la sua celebre City Lights Books, luogo d’incontro delle migliori menti della sua generazione.
Lawrence giovanissimo iniziò a scrivere poesie e la poesia per lui diventò un modo di esistere da persona libera.
Quasi centenario, Ferlinghetti è ancora on the road a rappresentare l’anima, vagabonda, ribelle e cosmopolita della poesia.
Ne Lo Specchio Mondadori esce Greatest poems (traduzione di Leopoldo Carra) la più recente e aggiornata antologia di un autore che è una vera e propria icona mondiale della poesia del secondo Novecento.
«La poesia di Ferlinghetti – scrive il suo traduttore – conquista il lettore grazie a molte seduzioni, una di quelle risiede nell’apparente semplicità di certi versi, nella loro disponibilità giocosa, nel loro contatto vivo e ininterrotto con i sentimenti della gente comune».
Il volume è corposo e contiene anche le poesie che il grande poeta ha scritto in questi ultimi anni. Versi sempre potenti e affilati in cui il grande vecchio della poesia dimostra di essere ancora lucido e potente nella sua scrittura.
Nel 1958 pubblicò sulla Chicago Rewiew un pezzo sulla poesia di San Fransisco nel quale sembra di rintracciare un ritratto della sua stessa poesia. «La poesia che si è fatta udire di recente è ciò che potrebbe essere chiamata poesia di strada.Perché consiste nel far uscire il poeta da un suo interiore santuario estetico dove troppo a lungo è rimasto a contemplare il suo complicato ombelico. Consiste nel riportare la poesia nella strada dove era una volta, fuori dalle classi, fuori dalle facoltà e in realtà fuori dalla pagina stampata. La parola stampata ha reso la poesia così silenziosa. Ma la poesia di cui parlo qui è la poesia parlata, poesia concepita come messaggio orale».
Parole deflagranti e controcorrente che oggi fanno ancora male per la verità ribelle che portano.
Oggi che la poesia dell’ombelico va di moda, che la poesia della tecnica e la poesia sulla poesia che inonda con tutta la sua spazzatura la cultura ufficiale, Ferlinghetti è ancora qui per far saltare il banco con le sue idee sovversive sulla poesia giusta.
La poesia di Ferlinghetti, – osserva giustamente Giorgio Weiss – dai forti connotati civili e politici, è tutto il contrario di una poesia intimistica, tanto che essa viene definita dallo stesso autore come “poesia di strada”; una poesia, cioè, che si trova a suo agio in mezzo alla gente, dove un tempo veniva cantata dai trovatori.
Sfogliando i suoi diari, leggendo le sue poesie, ancora oggi le sue parole urlano un boato deflagrante di rivolta e di resistenza che si pone necessario in questi tempi in cui all’orizzonte non si intravede il coraggio di uomini in rivolta.
L’anno prossimo Lawrence Ferlinghetti compirà cento anni. E noi festeggeremo il poeta sulla strada e della strada che non parla e scrive della vita e la vive, sporcandosi le mani con quell’ esistenza fatta di incontri, di gente e soprattutto di persone. Cercando sempre l’amore per capire la carne.