Uno dei più noti investitori di tutto il mondo, Warren Buffett, ha da tempo rivelato i suoi “segreti” per diventare ricco. Più che tecniche particolari, in realtà, se si vanno a vedere le sue dichiarazioni, si scopre che a guidare questo grande investitore è stato semplicemente il buon senso (e la pazienza). Ma esattamente quali sono le linee guida di questo mago della borsa? Essenzialmente sono due: mai investire tutto in una sola compagnia, ma diversificare al massimo il proprio portafoglio e mantenere il sangue freddo, investendo piccole somme con continuazione, senza farsi prendere dalla frenesia del vendere quando le azioni calano. Queste sue dichiarazioni, che sembrano scontate ma non lo sono, partono da un’osservazione economica che molti speculatori condividono e cioè che i mercati tendono sempre al rialzo nel lungo termine e quindi con un set di azioni variegato e piccoli investimenti continui, si possono accumulare delle fortune. Naturalmente si parla di anni e decenni, per permettere a piccole somme di maturare. Cosa ci azzecca questo discorso in un articolo di tecnologia, vi chiederete? Molto in realtà, perché il modo di pensare degli investitori di oggi è molto diverso. Il metodo di Warren Buffett infatti, incarna un’idea di capitalismo più sana di quella odierna, nella sua visione del mercato, le azioni da comprare sono un mezzo per dare soldi ad un’azienda promettente ( secondo i propri parametri ) che ingrandendosi, aumenta il suo capitale e ricompensa i suoi azionisti. Questo processo però richiede tempi lunghi e aziende solide che riescano ad essere vincenti nel marcato (quindi competitive e innovative). Con questo concetto, tutti possono avere dei vantaggi, gli azionisti guadagnano, le compagnie hanno i mezzi economici per espandersi e migliorarsi e le idee vincenti vengono premiate. Esiste un altro investitore famoso che, anche se anonimo, è salito alla cronaca dello scorso anno per essere divenuto ricco in un anno; di lui si sa solo che è giapponese, ex gamer e giocatore in borsa. Il metodo usato da questo ragazzo è completamente differente, infatti la sua tecnica di speculazione si basa sul trading on line veloce, che permette di sfruttare le oscillazioni giornaliere de mercato per ” comprare a poco e vendere a molto “. Questo tipo di speculazione economica, ( molto in usata oggi ) permette guadagni elevati in tempi brevi; in realtà però questo modo di operare in borsa non crea nuova ricchezza ma concentra semplicemente una parte del capitale circolante in un unico punto. Ovviamente vorremmo tutti arricchirci in tempi brevi, in modo da poter godere anche la nostra ricchezza, ma per una crescita armonica dell’economia reale, i tempi sono lunghi. Il fatto che il “metodo rapido”( fondamentalmente speculativo) per giocare in borsa si sia diffuso negli ultimi anni, grazie anche al trading on line e a società di investimento, ha avuto effetti molto negativi sullo sviluppo economico e tecnologico del pianeta, infatti le nuove aziende ( e sostanzialmente le nuove idee ) recuperano con grande difficoltà il capitale necessario per espandersi e sono facilmente assorbite dai grandi colossi che solitamente ne sfruttano l’idea senza creare vera innovazione. Con le startup si è cominciato a ribaltare il sistema ma è necessario un vero cambiamento ideologico sulla finanza moderna e le sue implicazioni nel mondo reale.
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Ottobre 2014
Lo so lo so… un sacco di voi storcono il naso solo a sentire il suo nome. E lo so proprio perché anch’io ero in questa situazione. Nel periodo di 50 Special non sopportavo ne lui ne i Lunapop, prodotto di punta di orde di 15enni saltellanti e urlanti, sentivo magari solo il fascino di Un giorno migliore, con quel video ad Amsterdam che stuzzicava già la mia voglia di espatriare e vedere il mondo.
Forse quello che attirò la mia attenzione nel 2005 fu l’esplosione di Marmellata#25 e, sempre forse, stupidamente quel “da quando Baggio non gioca più”… Da quel momento inconsciamente ho smesso di cambiare canale ogni volta che lo vedevo o lo sentivo e sono stato attento a seguire la crescita di questo ragazzo (classe ‘80) che non si ferma più nonostante una stampa e una critica non molto complice… per usare un eufemismo.
Ieri quello del Forum è stato il mio terzo concerto di Cremonini e, anche se devo ricordare come l’atmosfera bolognese del Paladozza sia stata decisamente spettacolare con un bolognese in plancia, “sentire” 13.000 anime farsi abbracciare così al Forum è stata una bella esperienza. Come bello è stato riconoscere la varietà del popolo cremonino: giovani, giovanissimi, meno giovani, gruppi di ragazzi, di ragazze, mielose coppiette, rastaman e chi più ne ha più ne metta.
Quello che però amo sempre in un concerto è sentire sia un Cantante che si esprima come nel disco, sia che sappia modificare e riadattare i suoi successi. Su questo il lavoro fatto da Cesare è molto importante, tra acoustic al piano e riadattamenti vari il mix è perfetto. La carica è tanta e il “piccolo” intoppo d’inizio concerto (black out completo del palco per +20 minuti) non ha intaccato minimamente la voglia e la verve da prima data.
Logico scalda il pubblico a dovere e meritano menzione particolare PadreMadre, molto più bella live che su cd, Il comico, sempre bella ed emozionante, La nuova stella di Broadway, che il pubblico accompagna incredibilmente su ogni parola, fino a 50 Special che io particolarmente non apprezzo ma fa tornare piccini i più grandi, 16 (!!!!) anni dopo.
Ma è con Io e Anna che si capisce bene il percorso che ha compiuto questo artista. Forum immobile assorto nelle note di una canzone che ci trasporta agli Anna e Marco di Lucio ne’ giorni nostri. E’ per canzoni come queste, per la capacità di essere profondo, ma anche ironico, mai banale, che al momento è l’unico cantautore italiano rimasto (e qui la frase potrebbe già finire) che può essere paragonato a quegli artisti della musica italiana di anni 70-80-90. Quegli artisti che hanno reso importante e speciale la “musica italiana”. Concordo che le sue origini un po’ guascone rendano difficile affrontarlo con serietà ma se a dirvelo è uno, come me, che non crede assolutamente nel prodotto, spesso e volentieri raccomandato, musicale Italico potete veramente provare.
Dopo una serie di canzoni al piano molto sentite come Vieni a vedere Perchè, diamo una nota di merito anche alla cinquina pre “finta” chiusura: Mondo, Marmellata #25, il Pagliaccio, Le sei e ventisei e la nuovissima ma acclamatissima Grey Goose (a proposito di ironico, mai banale). Nei Bis ci viene offerto il saluto di Un mondo migliore e un emozionato Cremonini saluta un pubblico che ha fatto ampiamente il proprio dovere e che è stato ripagato in pieno dei soldi del biglietto.
La tourneè è pressochè tutta esaurita in tutte le location, ma qualche posto avanza.. Se non sapete che concerto vedere prossimamente e lui passa dalle vostre parti.. fatevi abbracciare da questo Bolognese che a furia di girare sui colli ne ha fatta di strada.
Scaletta
Intro / Logico #1
Dicono di me
PadreMadre
Fare e disfare
Stupido a chi?
Il comico (Sai che risate?)
Amami quando è il momento
Non ti amo più
La nuova stella di Broadway
Latin Lover
Vent’anni per sempre
50 Special
Io e Anna
Il primo bacio sulla luna
Figlio di un re
Una come te
Vieni a vedere perchè
Vorrei
Mondo
Marmellata #25
Il pagliacco
Le sei e ventisei
Grey Goose
Bis
I love you
Un giorno migliore
Nel corso della mia piccola carriera da lettrice sono giunta alla conclusione che esistano due tipi di libri: quelli che all’inizio non ti sembrano granchè ma che migliorano pagina dopo pagina e quelli che già dopo l’incipit ti fanno venir voglia di metterti in piedi, fare un bell’inchino e applaudire dai 10 ai 15 minuti. Poi ci sono quelli nei quali cerchi di trovare fino all’utlimo qualcosa di buono, ma non c’è niente da fare e allora hai solo voglia di tirarli via dalla finestra, ma questo è un altro discorso.
Amuleto di Roberto Bolaño (tradotto da Ilide Carmignani per Adelphi) appartiene alla seconda categoria, quella che ti fa benedire i libri mediocri letti perché ti hanno permesso di riconoscere i capolavori. Io e Bolaño avevamo un appuntamento già da tempo, è stato paziente, ha aspettato e poi mi ha ricompensato, dissetato di altissima letteratura sudamericana. In realtà, il mio è stato un ritorno. Credo siano passati circa 15 anni dalla mia fissa con gli scrittori sudamericani, ed è durata anni eh! Mica roba da poco. È stato un ritorno anche in Adelphi, ai suoi colori tenui, alla copertina vellutata… quanti ricordi. Ma torniamo al libro, la protagonista è Auxilio Lacouture, fact totum della facoltà di Lettere e Filosofia di Città del Messico, madre della poesia messicana, amica, madre, moglie, sorella d’ogni scrittore, piccolo e grande, giovane e vecchio, ricco e povero, sano e malato che s’aggiri per le vie di quel marasma di città. Auxilio non scrive ma legge, legge tanto, anche se non ha istruzione che non sia proveniente dalle pagine lette, dalle conversazioni intraprese, dalle strade attraversate, dalla polvere spazzata via dalle case dei poeti, dai gomiti appoggiati ai bicchieri di tequila.
Tutti conoscono Auxilio e Auxilio conosce tutti. È sola in Messico, ma solo una volta ha paura, quella volta del settembre del 1968 che restò nascosta nel bagno delle donne della Facoltà quando l’esercito fece irruzione all’università. Auxilio resta, ha con sé un libro di Pedro Garfias, una penna e la carta igienica per prendere qualche appunto. Nei 12 giorni in cui rimane in quel bagno, Auxilio pensa alle persone incontrate fino a quel momento ripercorrendo le storie di una generazione il cui canto si eleverà come un “amuleto” sulle schiere dei giovani che verranno, armati di penne e di idee come i loro colleghi del ’68.
Tutto quello che potrei aggiungere d’ora in poi non servirebbe a niente, non devo e non voglio convincervi di nulla. Ma, se vi troverete in una libreria, datemi retta, cercate una copia di questo libro e leggetene la prima pagina, sono sicura che verrà a casa con voi. Ah, un’altra cosa, dopo aver letto Amuleto scommetto che anche voi comincerete a usare molto meno l’aggettivo “interessante”:
[…] che è un aggettivo che non sembra aggettivare e che serve tanto per descrivere un film che ci ha annoiato senza che vogliamo ammetterlo, quanto per indicare lo stato di gravidanza di una donna.
Ci avevate mai fatto caso?
Ogni cosa presente in natura ed ogni cosa (ri)creata dall’uomo si compone di un interno ed un esterno. Dalle più elementari forme di vita alle elaborate figure antropiche, tutto appare come il frutto di un connubio tra ciò che è fuori e ciò che è dentro, ciò che è conoscibile a prima vista e ciò che, nascosto sotto la superficie, è comunemente percepito di maggior valore tra le due parti.
Su interno ed esterno un lunghissimo dibattito, sull’ essere e l’apparire infinite disquisizioni. Partendo da Platone, passando per Schopenhauer fino a giungere a Nietzche non c’è autorità che non abbia detto la sua a riguardo. Una cosa appare però chiara su tutte: le due parti sono più che complementari, necessarie l’una all’esistenza dell’altra, si configurano fulcro imprescindibile della mancanza originaria di equilibrio con cui ogni essere umano è costretto a fare i conti.
Tra i tanti che hanno riflettuto sul tema c’è anche il duo di fotografi Mierswa-Kluska i quali hanno realizzato la nuova campagna pubblicitaria della Filarmonica di Berlino con la direzione artistica di Björn Ewers ; le foto ritraggono degli strumenti musicali da una prospettiva intima, dal loro interno, là dove la musica cresce in utero per poi esplodere dirompente. Ad essere ritratte le viscere di un violino, di un violoncello, di un flauto e di un organo.
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La parte sbagliata del paradiso – Andrea Malabaila
written by Gianluigi Bodi
A me le storie che fotografano la contemporaneità precaria, l’esigenza di essere altro da sé, lo scontro tra vita cruda e il dolce sogno di un riscatto mi sono sempre piaciute.
A me, anche le storia che parlano di persone che cercano di fuggire dalla mediocrità in cui sono cadute mi sono sempre piaciute. Diciamo che mi mettono una certa tensione addosso. La domanda che mi pongo fin dall’inizio del libro è: Ce la farà Ivan a conquistare il cuore della bella Valentina e vivere felice e contento per il resto dei suoi giorni?
Ecco, se io dessi una risposta alla domanda di cui sopra farei un cattivo servizio al libro e al lettore perché mi troverei nella pessima posizione di dovervi dire come finisce “La parte sbagliata del paradiso“. Siccome non voglio attirarmi i vostri strali cercherò di spiegare cosa mi è piaciuto di questo libro senza svelarne troppi particolari.
Come detto, la storia principale è quella che vede Ivan Costamagna, operaio della Regis Metallia, innamorarsi di Valentina, la figlia del proprietario dell’azienda. Ad Ivan la vita che fa, improvvisamente, non va più bene. Per arrivare a Valentina deve dimostrare a se stesso e agli altri di essere migliore di un semplice impiegato. Quindi, un incontro fortuito, un’emozione forte come quella che può essere data da un colpo di fulmine, porta Ivan ad evolversi. La sua è un’evoluzione che, per quanto lui creda volontaria, gli viene imposta dai meccanismi sociali. Pensare che un operaio e una figlia di papà possano condividere lo stesso spicchio di paradiso è quasi immorale e quindi Ivan si trova a dover staccarsi dal mondo che lo ha cullato per avventurarsi verso un futuro incerto.
Questa in breve la storia, molto in breve a dire il vero. Ma aldilà della storia che ho semplificato anche troppo, c’è altro che a me è piaciuto. Mi è piaciuta l’intraprendenza di Ivan, il voler con tutte le forze uscire dall’anonimato ed essere artefice del proprio destino qualsiasi esso sia, nel bene e nel male.
Dall’altra parte c’è Valentina, la figura di una ragazza per cui ogni uomo potrebbe perdere la testa senza alcun problema. Misteriosa, volubile, dannatamente attraente e incostante. Il giusto mix per far perdere la dignità.
Malabaila confeziona una storia dei giorni nostri, una lotta di classe nascosta tra le pieghe dell’amore. Uno scontro tra operai e padroni, con l’aggravante che l’operaio Ivan percepisce la propria posizione come un demerito, un difetto da correggere, mentre il padre, memore delle lotte giovanili, porta ancora in alto il vessillo del lavoro manuale.
“La parte sbagliata del paradiso” racconta una storia senza tempo che Malabaila ambienta in una Torino a cavallo delle Olimpiadi, un periodo che ha visto rifiorire la città e nascere la storia di Ivan e Valentina.
Solitamente prendo a prestito la biografia degli autori dal sito internet della casa editrice, stavolta però posso fare di meglio. Andrea Malabaila ha un sito internet personale e una sezione “Bio” davvero molto simpatica che vi consiglio di andarvi a leggere. Anche perché “La parte sbagliata del paradiso” non è che l’ultimo, in ordine di tempo, dei suoi libri.
Il libro è edito da Fernandel. Una piccola casa editrice con una solida tradizione che nasce nel 94 con la rivista letteraria omonima. Da allora Fernandel da grande spazio ai giovni scrittori italiani, ad esempio ha ospitato un givanissimo Morozzi. Quindi, se volete tastare il posto alla narrativa contemporanea italiana, partire da Fernandel vi potrebbe già dare alcune idee su dove stanno andando i nostri scrittori.
Miss America 2014 e le strane scarpe indossate dalle ragazze (FOTO)
by senzaudio
written by senzaudio
Per diventare la ragazza più bella d’America, bisogna superare delle “prove” difficili, molto difficili. Non per fare sempre il guastafeste della situazione, ma questi concorsi di bellezza dovrebbero mettere in risalto ben altro, oltre a tette, fondoschiena e tutto ciò che ne consegue. Mi odierete, lo so, non posso farci niente, specialmente quando vedo, noto alcuni indumenti che queste “povere” donzelle devono per forza indossare, altrimenti la porta con la scritta “Exit” sarà a portata di mano pronta per essere aperta. Tornando agli Stati Uniti d’America, girovagando per il web, alla sezione immagini, la mia attenzione è stata captata da un paio di scarpe niente male. Peccato che le stesse sono state infilate da tutte le aspiranti Miss America 2014, mica dalla mia compagna di banco alle scuole elementari. Tacchi alti quanto un grattacielo, disegni di tutti i generi, con la bandiera statunitense in bella mostra e tanto altro. Le foto, tratte da Ap/LaPresse, parlano da sole. La domanda è sempre la stessa: era proprio necessario?
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Fratture – Massimiliano Nuzzolo
written by Gianluigi Bodi
Doveva essere il 2004, stavo frequentando un corso di scrittura creativa che già mi aveva fatto capire che non c’era trippa per gatti, in una libreria che ora ha chiuso. Il “Maestro” era Giulio Mozzi che un giorno ci porta un tipo che non avevamo mai visto a lezione. Il tizio risulta essere Massimiliano Nuzzolo. Ha appena pubblicato un libro con Sironi dal titolo “L’ultimo disco dei Cure” e io, che all’epoca mi sarei messo un cilicio sulla coscia a modi Silas de “Il codice Da Vinci” pur di fare due chiacchiere con uno che ce l’aveva fatta sono finito ad una sua presentazione. Ho comprato il libro, l’ho letto e mi è piaciuto. Successivamente ho scambiato qualche email con Nuzzolo che si è rivelato essere molto cordiale e dotato di una pazienza fuori dal comune nel trattare con personaggi della mia risma. Fine.
Fino a qualche giorno fa.
Nuzzolo rientra nella mia vita di lettore con il suo ultimo libro “Fratture” edito da Italic Pequod.
Se vi è capitato mai di rivedere un vecchio amico dopo un bel po’ di anni che non lo frequentavate e di aver provato una sensazione di familiarità nel rivolgervi a lui allora avete ben presente quello che ho provato io a leggere “Fratture”.
Thomas ed Elisa. Thomas che ha avuto un grave incidente che gli ha completamente cancellato la memoria. Elisa che è una ragazza problematica come tante, che come tante non riesce ad uscire da una certa spirale di autodistruzione.
E a fare da sottofondo alla storia tra i due una tappeto di musica che parte dagli amati “The Cure” ai “Joy Division” passando attraverso tutta una serie di nomi che, lo ammetto, mi sono risultati poco conosciuti e a volte tristemente sconosciuti. L’ignoranza è un pozzo che non si colmerà mai.
“Fratture” ha a che fare con i giovani, li racconta come solo uno che li conosce bene sa fare. O forse, come solo uno che è rimasto giovane sa fare. Ho trovato dei punti di contatto con il “vecchio” “L’ultimo disco dei Cure”, soprattutto nella capacità di esplorare il disorientamento di una generazione, quel rifuggiarsi quasi ossessivamente nella musica, nei video e nei libri a voler cercare un linguaggio adatto a descrivere se stessi senza paura di essere fraintesi. Diventa ancora più significativo quindi il fatto che da questo libro siano stati tratti alcuni cortometraggi presentati alle “Giornate degli Autori Venice days della 71a mostra del cinema di Venezia” e che al momento 3 piccole compagnie stiano iniziando dei lavori teatrali sul romanzo.
Il fatto che Thomas diventi una tabula rasa ha due risvolti. Le persone si rivolgono a lui come fosse uno specchio sul quale riflettere le proprie insicurezze, come se il semplice fatto che non può ricordare lo metta nella posizione di non esercitare il potere di giudicare gli altri. L’altro risvolto riguarda Thomas stesso. L’amnesia lo fa ripartire da zero. Gli apre illimitate vie di fuga che solo la paura di osare potrebbe renderle impraticabili. La domanda importante qui è: se avessi una seconda possibilità compierei la stessa strada perché sono destinato a farlo oppure, libero da costrizioni, sarei una persona totalmente diversa e più vicina al mio vero io (qualunque cosa esso sia)?
Non svelo altri particolare sulla trama, vale la pena di leggersi il processo di allontanamento dagli ambienti familiari del Thomas pre incidente e l’attrazione costante nei confronti di Elisa. Un percorso raccontato con una scrittura fresca e scorrevole, con un occhio al ritmo e l’altro alla pulizia formale.
Nuzzolo è uno di quelle persone che probabilmente non dorme la notte. Ha numerosi impegni, ha fatto un’infinità di cose in molteplici campi, visuale, musicale, letterario e mescolanze tra questi. Per cui una qualsiasi biografia sarebbe ovviamente parziale. In ogni caso, oltre a riportare quanto scritto su di lui dall’editore, mi permetto di consigliarvi di andare a visitare un sito con il quale Nuzzolo ha un rapporto molto stretto. sito.
Massimiliano Nuzzolo è nato a Mestre nel 1971. Ha esordito nel 2004 con il romanzo L’ultimo disco dei Cure. Nel 2007 ha pubblicato la raccolta di poesie Tre metri sotto terra (Coniglio editore). Esperto di musica e di culture giovanili, ha curato la raccolta di racconti La musica è il mio radar (Mursia 2010);
Sarà che da quando mi tengo informato su diversi aspetti dell’attualità, per scrivere articoli, mi imbatto sempre più in gente che formula le idee più strampalate su chi comanda il nostro mondo (per fortuna solo tramite articoli e post); ma ultimamente mi sono addentrato nelle trame intricate della teoria del complotto.
Anzi si dovrebbe parlare delle “teorie del complotto” in quanto sembra che su uno scenario comune, di eminenze occulte che reggono le sorti del mondo ( sotto la sigla di NWO – New World Order ), si innestino diverse teorie su motivi e meccanismi di controllo attuati da questi burattinai. I più popolari siti di questo genere, sono quelli che riguardano le teorie politiche e spionistiche moderne e danno una rilettura dei fatti di attualità; per cui le torri gemelle dell’undici settembre sono state abbattute con un complotto americano che sapeva dell’attacco aereo e l’Ebola ( come l’HIV ) sono stati creati in laboratorio e quindi diffusi volontariamente per scopi occulti. Ora, solitamente questo tipo di informazioni (che vengono presentate comunque come verità assolute) sono sempre supportate da dimostrazioni che puntano a smantellare la versione ufficiale, indagando sulle discrepanze dei fatti presentati e sulle dichiarazioni di esperti che danno le loro versioni sugli eventi accaduti. Per esempio, ritornando al caso dell’11 settembre, sembra che diversi architetti, ingegneri ed esperti in demolizioni siamo convinti che il crollo delle torri gemelle sia avvenuto con una modalità uguale alle demolizioni degli edifici di Las Vegas in cui, tramite cariche di esplosivo, gli edifici cadono su se stessi senza danneggiare quelli vicini. La parte più inquietante di questi siti è la minuzia con cui vengono sezionati tutti i fatti di un certo evento e ne venga tratta una versione alternativa talmente convincente da suscitare dubbi concreti (ed in certi casi anche plausibili). Se ad esempio, l’idea che Hiv ed Ebola siano state create in laboratorio suona molto poco realistica, (infatti qualunque esperto biologo può confermare che per qualsiasi tipo di guerra o terrorismo il virus è la peggiore è più pericolosa arma che si possa usare in quanto è impossibile da controllare); l’idea di una demolizione controllata delle torri gemelle suscita dei dubbi inquietanti per le prove e le dimostrazioni che sono state portate a favore di questa idea. Da questi inizi però si viaggia verso lidi più deliranti in cui aumentano la complessità dei meccanismi occulti e (solitamente in modo proporzionale) diminuiscono le prove di supporto a queste teorie. In pratica, si inizia col ricordare che in America tutti gli ultimi presidenti sono usciti dalle stesse università e confraternite studentesche (fatto vero), per poi indugiare sulle associazioni che in Europa raccolgono i membri chiave delle istituzioni pubbliche e private più potenti, quindi si citano solitamente le associazioni Bildenerg e Rokefeller a cui molti di questi grandi personaggi partecipano; ed ecco servito il cocktail perfetto per qualsiasi storia di fantapolitica. A questi elementi base poi si possono aggiungere tutte le teorie cospiratorie che si vogliono (personalizzandole secondo i gusti dei diversi gruppi di utenti da raggiungere), si va dai piani di dominio mondiale dei super ricchi, che controllano il tempo grazie alle scie chimiche e finanziano la Nasa per sbarcare su altri mondi, alle manipolazioni dei “Rettiliani”, una specie aliena che ci condiziona ormai da anni, tramite segnali nascosti nelle trasmissioni radio televisive e altri mezzi di sottomissione delle masse (qui “Essi vivono” di Carpenter docet).
Ma da dove nascono e perché si seguono queste teorie? Fondamentalmente esistono due principali motivi che alimentano la diffusione di teorie complottiste: la prima è una reazione alla sensazione di impotenza ed esclusione che coglie l’uomo moderno difronte alle grandi potenze politiche ed economiche che lo circondano, questa alienazione dalle istituzioni è ancora più accentuata dalla rete, che inonda di informazioni da tutto il globo e da tutte le fonti possibili accentuando lo stato di smarrimento in questo oceano di dati. Le organizzazioni politiche diventano quindi degli sconosciuti di cui diffidare (e purtroppo ultimamente molte conferme sono state date a questa tesi) e le spiegazioni che vengono date dalle fonti tradizionali non possono essere affidabili in quanto conniventi con il sistema di controllo (ed anche qui, sopratutto in Italia stendiamo un velo pietoso); ecco allora che si cercano risposte fuori dal coro su siti alternativi, molti dei quali fanno un vero lavoro di indagine giornalistica, ma altri invece si perdono nella ricerca della cospirazione ad oltranza. La seconda motivazione è figlia della prima e riguarda sopratutto le ipotesi riguardanti eventi naturali come inondazioni, mutamenti climatici o epidemie. In questo caso l’elemento del complotto ha, paradossalmente, un effetto rassicurante, trasformando un fatto le cui cause sono incontrollabili (e quindi destabilizzanti), in un azione preparata a tavolino da un nemico che, anche se subdolo e potente, può essere affrontato e sconfitto, cosa che non si può fare invece con la furia cieca della natura. Nel caso dei virus, ad esempio, chi diffonde il morbo è automaticamente anche il possessore dell’antidoto e quindi una volta sconfitto si risolve la crisi, la stessa idea vale per i fenomeni climatici ed economici che, se provocati da organizzazioni misteriose, ritorneranno alla normalità una volta scovate e rese inoffensive le menti dietro ad essi.
Purtroppo, negli ultimi anni, le teorie complottiste di tipo economico, che incolpavano le grandi società di credito della manipolazione del mercato (e quindi della conseguente crisi), si sono rivelate molto meno irreali di quanto ci si aspettasse; per questo anche tutte le altre idee del genere, hanno cominciato ad ottenere un seguito più numeroso, supportate dalla rete con le sue infinite fonti di informazioni (vere o false) a conferma degli scenari più disparati.
Che dire in conclusione? Verificare l’attendibilità di una qualsiasi informazione oggi è imperativo e questo vale tanto per le notizie più strane che per quelle accreditate dalle agenzie ufficiali; basta vedere l’enorme bufala della squadra di calcio nord Coreana che doveva essere giustiziata per aver perso contro la squadra del Sud, a cui hanno abboccato giornali e associazioni umanitarie di livello internazionale; nel dubbio quindi, meglio indagare sempre sulle fonti. Ma naturalmente io potrei essere solo un’altro agente di depistaggio al servizio dei poteri occulti di Sezaudio e dei suoi piani per il dominio della galassia!
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Il testamento dei fiumi – JESÚS MONCADA
written by Gianluigi Bodi
Paratesto:
C’è una certa sobrietà nella copertina de “Il testamento dei fiumi”, una scelta azzeccata, un voler lasciare la parola alle pagine, ma se siete come me, ogni tanto, tra una riga e l’altra, a quella copertina ci tornate. Ci tornate perché nell’assenza che viene palesata sin dall’inizio, in quella cornice senza quadro, c’è tutto il lavoro di creazione di Moncada.
Testo:
Ad un certo punto, un paese, è sul punto di morte e inizia a raccontare se stesso. Ecco cosa leggerete se deciderete di comprare “Il testamento dei fiumi” di Moncada, leggerete la storia di un paese dal destino segnato che sul punto di sparire inizia a raccontare se stesso attraverso le vite delle persone che lo hanno abitato.
Ed è fantastica l’atmosfera che Moncada riesce a creare. Con una scrittura barocca e pulsante riesce a tessere una trama fittissima, un romanzo corale in cui le voci assumono tutte la stessa dignità. E allora mi perdonerete se vi confesso che mi sono perso dentro le spire di questo libro come quando d’autunno mi perdo nella nebbia veneziana, quella nebbia che vedi arrivare avanti compatta, l’osservi da lontano e sembra un fronte unico e poi, d’improvviso ci sei dentro.
Arquimedes Quintana, Camil-la, il salone delle vergini martiri, la famiglia Torres i Camps e centinai di altri “attori” vengono alla luce a poco a poco, come note di uno spartito di cui si riesce appena ad intravedere la fine. E’ incredibilmente appagante, come lettore, vedere la storia personale integrarsi con la Storia solitamente definita con la esse maiuscola.
Moncada è (purtroppo non è più vivo, ma la sua maestria è presente e viva) un direttore d’orchestra coscienzioso che rende partecipe alla storia ogni singolo elemento.
Come dicevo, mi sono perso nelle pagine de “Il testamento dei libri”, mi ha ricordato grandi epopee familiari (Marquez, Allende e altri), non nello stile che, beninteso, è quanto di più personale uno scrittore possegga, ma nella capacità di dipingere un ritratto (e la parola ritratto non è casuale come chi leggerà il libro comprenderà) dai colori brillanti e dare voce al canto di un paese morente che come unica eredità ai posteri può lasciare la memoria degli esseri umani che hanno calcato il suo selciato.
Coordinate:
Vi dovrei dire, per fare bella figura, che conosco la casa editrice Gran Via da anni e che sono un loro affezionato cliente. Ma non vale la pena mentire, preferisco spendere le mie bugie per questioni più terrene. Dirò quindi che fino a qualche mese fa non sapevo nulla di loro e che ora, dopo aver letto Moncada e il suo “Il testamento dei fiumi” avranno un posto d’onore sulla mia libreria. Perché chi riesce a pubblicare un libro del genere ha tutta la mia stima. E’ poco cosa, lo so, ma è quanto di più prezioso un lettore possa dare, anche più prezioso del prezzo di copertina.
Complimenti a tutti quelli che lavorano a Gran Via, non so chi siano o quanti siano, ma davvero, complimenti. Ah, complimenti anche per aver messo il nome del traduttore sulla copertina.
Jesús Moncada (Mequinensa, 1941 – Barcellona, 2005) è autore di tre romanzi e tre raccolte di racconti. Il testamento dei fiumi è unanimemente considerato uno dei romanzi più importanti, e più tradotti, della letteratura catalana contemporanea.
A Simone Bertelegni, traduttore di questa opera, vanno tutte le mie più sincere congratulazioni. Se, da lettore, perdersi nei meandri della costruzione di Moncada è un piacere, da traduttore la cosa deve essere stata quanto di più vicino ad un incubo si possa immaginare.
La grafica è stata affidata ad una persona che conosco da una decina d’anni pur non avendola mai incontrata. Per questioni relative al destino, le nostre strade si sono incrociate virtualmente più volte, ma non hanno mai portato ad un incontro vis-a-vis. La persona si chiama Mirko Visentin, è uno bravo, ma se ve lo dico io poi magari dite che lo faccio solo perché altrimenti mi viene a spezzare le gambe. Quindi, giudicate da soli.
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Autunno Tedesco – Stig Dagerman
written by Gianluigi Bodi
Paratesto:
Non lo so, quando mi si mette in modo l’empatia inizio a non capire più nulla. Mi soffermo sui particolari, rifletto, cerco di entrare in un’altra epoca, in altri panni e cerco di capire. E’ una sorta di macchina del tempo, immagino. Oggi mi soffermo sui bambini che giocano, sulla copertina di “Autunno Tedesco” e penso che il loro sia un sorriso forzato, magari di sfida verso le avversità della vita. Perché non ho altra speranza che immaginare che chi soffre abbia modo di passare la bufera indenne. Soprattutto un bambino.
Testo:
Serviva uno scrittore, per giunta Svedese, non serviva un giornalista. Un giornalista, nella maggior parte dei casi, fa domande. Non riesce ad entrare completamente dentro le situazioni che intercetta. Uno scrittore invece, se è un bravo scrittore, è maestro a descrivere l’animo umano, coglie degli aspetti che sfuggono all’essere umano medio. Stig Dargerman è stato un grande scrittore, uno dal futuro roseo che ha deciso che del futuro non sapeva che farsene.
“Autunno Tedesco” è un reportage che racconta quello che è successo in Germania dopo la liberazione da parte degli alleati. Ora, è evidente che il Nazismo ha prodotto degli effetti devastanti sull’umanità, ritengo inoltre che l’operato di Hitler abbia cambiato profondamente il corso della storia che ora sarebbe potuta essere diversa da come la stiamo vivendo. Quello che spesso sfugge alle analisi, quello che molti non raccontano è che la “punizione” inflitta dagli alleati al popolo sconfitto ha, appunto, colpito un popolo nella sua interezza affossandolo. Dagerman riesce a raccontare questa desolazione con una maestria immensa, riesce a descrivere il dolore che ha afflitto un popolo e il senso di ingiustizia che ha provato. Perché ingiustizia? Perché per sanzionare chi ha commesso dei crimini atroci si è, paradossalmente, colpito anche chi durante il furore Hitleriano aveva opposto resistenza. Nella rete alleata sono finiti tutti, indistintamente. E, la cosa ancora più incredibile, Dagerman descrive come i ricchi che hanno fatto la fortuna durante il Nazismo siano riusciti a mantenere la posizione di privilegio anche dopo la caduta del Terzo Reich.
Quello di Dagerman è un reportage che parla di lotta tra poveri, mediamente poveri, poverissimi; persone che vagano per le città in rovina dopo i bombardamenti in cerca di una patata da mangiare o anche solo di un posto dove restare a riparo. Persone che rimangono bloccate per giorni, in un vagone che lascia passare la pioggia, stretti come bestie, dimenticati, scomodi al potere.
E allora? E allora non lo so. So che qualcuno di voi, leggendo queste mie parole, storcerà la bocca e dirà con convinzione che la Germania si è meritata tutto questo, che hanno iniziato loro, che la miseria e la povertà sono il minimo contrappasso per tutto il dolore che Hitler ha causato.
Ebbene, io pensavo che ci fossero zone nere e zone bianche. Pensavo che al crimine spettasse una punizione. Ma ragionavo sulla base di entità uniche e indivisibili. La Germania ha causato, la Germania ha pagato.
Ho però ora l”impressione, dopo aver letto Dagerman, che le zone siano diventate tutte grigie. Sono forse più quelli che hanno pagato di quelli che hanno causato.
Leggetelo, vi aiuterà a pensare alle cose con una prospettiva diversa, magari non vi smuoverà dalle vostre posizioni, ma secondo me qualche crepa la creerà.
Coordinate:
Lindau ha recentemente festeggiato i 25 anni di attività. 25 anni, in un campo complesso come quello dell’editoria indipendente sono un traguardo ragguardevole. Ecco che per festeggiare questo importante anniversario, l’editore si regala una nuova collana di narrativa dal nome evocativo di “Senza frontiere“. Credo sia interessante riportare uno stralcio della lettera con la quale l’editore presentava al pubblico dei lettori la nuova collana.
«Senza frontiere» – questo è il titolo della nuova collana – significa almeno due cose diverse: innanzitutto l’apertura a tutte le lingue, le culture, le esperienze capaci di interrogare e arricchire la nostra contemporaneità; e poi la volontà di ignorare le fittizie barriere dei generi o degli stili per valorizzare soltanto la capacità di costruire una narrazione forte e onesta, in grado di bucare lo schermo opaco della nostra indifferenza di lettori sempre più compromessi con una narrativa di facile consumo.
Non ci interessano gli sperimentalismi fine a se stessi, ma neppure i testi il cui solo fine è stupire il lettore con «effetti» sempre più forti o blandirlo con storie facili e superficiali.
La lettura, per noi, deve restare un’avventura aperta all’imprevedibile, talvolta scomoda, ma capace di lasciare un segno nella memoria e, perché no?, nella vita di chi la pratica.
Stig Dagerman viene riportato alla luce con questa seconda edizione targata Lindau. La prima era uscita qualche anno fa in un’altra collana, ma ora ritengo che abbia trovato la collocazione giusta ed è un piacere poter rileggere Dagerman e poterlo omaggiare a 60 anni dalla sua prematura scomparsa. Ecco alcune note biografiche direttamente dal sito dell’editore.
Stig Dagerman nasce ad Älvkarleby, in Svezia, nel 1923. Attivo antinazista fin dall’adolescenza, collaborò con il giornale dei giovani anarchici «Storm» e quindi al quotidiano «Obertaren», dove scrisse di vari argomenti e soprattutto di cinema. Richiamato nell’esercito nel 1943, cominciò in questo periodo a scrivere il suo primo romanzo Il serpente (1945). Il 1946 fu l’anno del suo secondo romanzo, L’isola dei condannati, mentre nel 1947 diede alle stampe Autunno tedesco e la raccolta di racconti Giochi nella notte. Nel 1948 pubblicò il romanzo Ragazzo bruciato e nel 1949 la sua ultima opera, Le pene delle nozze. Si suicidò il 3 novembre 1954.
La traduzione a cura di Massimo Ciaravolo è impeccabile, davvero, è stata una lettura difficile sotto molti punti di vista, ma sicuramente non per la traduzione.
Il volume è a cura di Fulvio Ferrari.
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