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Valentino Zeichen – Le poesie più belle – Fazi Editore

by Alessandra Piccoli
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Valentino Zeichen – Le poesie più belle

È una raccolta, questa, complessa e indefinibile nella sua interezza, per tematiche trattate sia dal punto di vista temporale che per quanto riguarda il linguaggio, la forma, e lo stile usati. Si tratta, infatti, di poesie d’amore a più livelli, anche se io a dire il vero come sottofondo d’accompagnamento sono stata rapita dall’intelligenza dell’ironia, sempre presente per quanto spesso solo nebulizzata. L’Amore sì, è certamente centrale e sentito nelle dediche agli amici artisti e poeti e a personaggi della storia (per Bruno Giordano, Giotto, Duchamps, Rubens, Umberto Eco, Kafka) o ai monumenti cari a Zeichen (Ponte Milvio, Circo Massimo, La colonna Aureliana, Piazza del Popolo, ecc), non dimenticando però che non amiamo mai risiedere del tutto in un luogo, perché siamo lì attesi per morirvi.

Apre la raccolta una poesia dedicata a Elido Fazi e Alice, sposi. Un inedito augurio in cui la sposa esce dal mondo per entrare nello specchio del suo amato. Niente sconfinamenti pericolosi, per il poeta, ma solo abbaglianti riflessi che si fondono, diventando monadi. La poesia in questo caso è tenera, piena di simbologia e metafore, intelligente, non banale.

Seguono diversi blocchi, temporali e tematici che meritano sicuramente un approfondimento linguistico e storico particolare.

In Area di Rigore, il primo blocco, il poeta, per esempio, accenna alla sua condizione fisica, un’insufficienza cardiaca, si prende in giro spesso, “allunga la linea della tua vita con la matita”, dice…

Non manca una sezione dedicata alle poesie d’abbordaggio, veri e propri quadri vintage anni settanta: posso farle da ombra? Chiede il poeta alla ragazza al sole. Oppure dice addio alla tennista, con i capelli al vento e il muro al cuore.

In “Bianco accecante”, Zeichen gioca con la metafora del filtro (amoroso, delle sigarette):

 

Ho cercato altre bionde

e nuove brune fra diverse marche,

ho incenerito Marlboro, Lucky Strike,

Astor, Rothmans, Lido, le esotiche Camel

per dimenticare quell’involucro e trovare un filtro

che trattenesse il suo ricordo.

O ancora:

Col pretesto della poesia

e della comune origine mitteleuropea

che mi ispira la puntualità

agli appuntamenti, mi accattivo la simpatia

d’una coppia di austriache: insieme rimpiangiamo i

vecchi confini dell’impero

e la libera mescolanza

delle nazionalità.

La mia incerta preferenza

non vuole dividerle;

restate assieme sì ché

sommando i vostri anni

fra noi “due” non si noti

alcuna differenza d’età.

 

Parla di scienza, con piglio sicuro e un’ironia che mai sfocia nel sarcasmo. La Clonazione, è una clonazione interessata, in cui chiede che venga impiantata in un ovocita a cui è stato tolto il nucleo, una cellula della sua amata, chiede di fare copia di sé, affinché l’amore sia eterno, almeno tra i loro duplicati.

In Museo Interiore, Zeichen parla dello scontro tra civiltà, della guerra, dei fronti e lo fa con delicatezza, raccontandone come se fossero duelli filosofici, o partite di tennis: scrive di Nazismo, di musica dedicata come se fossero battaglie con munizioni sonore:

 

Analogie musicali

L’infusione musicale nazista

scavò dentro ogni tedesco

un piccolo auditorium

e ne ingrandì l’anima

affinché i suoni si armonizzassero

con la musica interiore

sincronizzata con le

marce dei panzer, poi,

trionfo Lilì Marleen.

La  morte della madre, quando aveva sei anni, è accennata in una poesia all’interno di un quadro di guerra, madre che gli tiene la mano, un anno prima della fine della stessa guerra; lui piccino con un palloncino blu notte legato al polso che porta con sé nel rifugio durante i bombardamenti.

A Roberto Olivetti dedica una delle poesie secondo me più intense, dicendo  che è riuscito a tradurre il fantastico nel verosimile, uomo che quasi per paradosso contiene nel suo DNA un genoma letterario per far sopravvivere l’immortalità di una stirpe.

In Identità, una poesia dedicata a Kafka, l’autore uccide uno scarafaggio, chiedendosi se questo fosse in preda a un delirio di onnipotenza sognando, avendolo trovato al centro del letto matrimoniale, di essere lui. Lo schiaccia con destrezza “ per usurpazione di identità”.

Parla, in più punti della raccolta, dei poeti, di poesia, schernendo sé stesso; dice come dovrebbe essere, ciò che bisognerebbe fare e lo fa con metafore divertenti e calzanti: l’analogia è tra poesia e unghie dei piedi, “perché bisogna scorciare i versi cadenti, arrotondare gli angoli sonori ed è sempre bene tenere le unghie corte”.

Si definisce poeta svogliato, che è riuscito a bloccare l’emorragia d’inchiostro e del tempo che è passato:

 

La vecchiaia è imminente

che fare? Non rimane altro

che farsi saggi/dementi.

E a proposito delle descrizioni che i poeti fanno di sé stessi:

L’autobiografia s’aggiusta con parole,

non essendo riusciti a imprimere

le proprie gesta nella vita.

 

Ne L’amante della poesia, invece, c’è tutta la sofferenza di chi non viene amato per ciò che è, per chi non viene distinto dalle sue opere:

 

“la vedo come interdetta poiché non mostra di saper distinguere fra me e le copie cartacee.”

 

Ciò che mi ha colpito di questa corposa raccolta (sono più di duecento poesie), a parte la maestria nel comporre sempre pezzi perfetti, siano questi simili ad aforismi o frasi  brevi che racchiudono tutto quello che è necessario per spiegare qualcosa, oppure poesie più lunghe e strutturate è la leggerezza. Non è semplice semplice trattare temi dolorosi, in modo preciso da un punto di vista descrittivo (dell’ambiente e dei fatti accaduti, nei ricordi) senza cadere nel pesante. Zeichen c’è riuscito, ed è riuscito anche a strapparmi un sorriso mentre mi dava un pugno nello stomaco.


Valentino Zeichen, all’anagrafe Giuseppe Mario Zeichen (Fiume, 24 marzo 1938 – Roma, 5 luglio 2016[1]), è stato uno scrittore e poeta italiano. Autore di romanzi e di raccolte di poesie, la sua prima antologia poetica Area di rigore fu pubblicata nel 1974 dalla Cooperativa Scrittori, (Roma, 1974) con la nota introduttiva di Elio Pagliarani; l’ultima, Casa di rieducazione è uscita con Mondadori (Milano) nel 2011.

Vinse nel 1999 il Premio Il Fiore di Chiesina Uzzanese. Nel 2015 la giuria tecnica del Premio Poesia Città di Fiumicino, composta da Milo De Angelis, Fabrizio Fantoni, Luigia Sorrentino, gli ha conferito il Premio alla Carriera.

Nasce a Fiume nel 1938, ma a seguito dell’esodo del popolo istriano, si trasferisce con la famiglia la madre Evelina e il padre giardiniere, prima a Parma, poi a Roma, dove ha vissuto fino al giorno della morte in una casa-baracca sulla via Flaminia al n.63.

Si è avvicinato alla poesia quando era diciottenne, influenzato da autori surrealisti come André Breton e Jacques Prévert.

La sua prima pubblicazione di poesie è del 1969 nella rivista letteraria Nuova Corrente. Il suo primo romanzo, Tana per tutti, è del 1983.

Il tratto caratteristico della poesia di Zeichen è lo spiccato carattere argomentativo, anti-lirico, così descritto da Valerio Magrelli: “Che parli del big bang o di un amore, che evochi un amico o parli di guerra, egli imbastisce sempre un complicato congegno dimostrativo, una piccola macchina logica tramite cui esibire acquisizioni di tipo cognitivo. In alternativa, ecco esplodere veri flash visivi, come quando, ad esempio, definisce il treno “una chiusura lampo che fila sui binari”.

Zeichen è stato anche il giudice unico della giuria di un premio letterario intitolato al suo nome. È morto il 5 luglio 2016 alle 12.40 a Roma per un infarto a seguito dell’ictus che lo aveva colpito a aprile del 2016, nella clinica Santa Lucia.

Opere:

Area di rigore, nota introduttiva di Elio Pagliarani, Roma, Cooperativa Scrittori, 1974

Ricreazione, Milano, Società di poesia per iniziativa dell’editore Guanda, 1979

Pagine di gloria, Parma, Guanda, 1983

Tana per tutti, Roma, Lucarini, 1983 (romanzo)

Museo interiore, Parma, Guanda, 1987

Gibilterra, Milano, Mondadori, 1991

Metafisica tascabile, Milano, Mondadori, 1997

Apocalisse nell’arte, introduzione di Nico Garrone, Roma, Edizioni della cometa, 2000

Ogni cosa a ogni cosa ha detto addio, Roma, Fazi, 2000

(con Achille Bonito Oliva) Carla Accardi. Pietrose distanze – Essegi, 2000

Matrigna, Padova, Il Notes Magico, 2002

Passeggiate romane, Roma, Fazi, 2004 (con DVD)

Poesie. 1963-2003, Milano, Mondadori, 2004

Sentimento e ironia, con una nota di Massimo Raffaeli, Ancona, Centro Studi Franco Scataglini, 2004

Neomarziale, Milano, Mondadori, 2006

Il palazzo della scherma, Milano, Il ragazzo innocuo, 2006

La Refezione, Roma, Edizioni della cometa, 2007

Aforismi d’autunno, Roma, Fazi, 2010

Poesie giovanili. 1958-1967, Roma, Edizioni della Cometa, 2010

Il testamento di Anita Garibaldi, postfazione di Italo Moscati, Roma, Fazi, 2011

Casa di rieducazione, Milano, Mondadori, 2011

Macchie dipinte, Roma, Edizioni della Cometa, 2014La sumera, Roma, Fazi, 2015 (romanzo)

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