Comincio a leggere il terzo romanzo di Marco Vespa, Tutte le sue grandezze, pubblicato da il Palindromo, con la sensazione di aver ritrovato un vecchio amico, uno di quelli a cui vuoi bene anche se non lo vedi da secoli e un po’ ti dispiaceva che non avesse scritto più niente. Uno di quelli talmente bravi che diventa difficile dirgli “bravo” senza sentirsi un po’ stupidi. La sua bravura è talmente evidente e cristallina e la sua scrittura levigatissima e trascinante totalmente priva di pose, lamentazioni e sovrastrutture ieratico-sapienzal-doloristiche, le sue pagine così lontane dal masochismo culturale sempre in voga, che aggiungere qualcosa alla semplice lettura dei suoi tre romanzi è come incontrare Kareem Abdul Jabbar e sentirsi in dovere di dirgli “sei forte, ragazzo”, invece di prostrarsi e adorarlo in silenzio. Comincio insomma a leggere le prime pagine di questo romanzo e scivolo di nuovo nella Catania-bene iper chic, la città provincialotta ma presuntuosa, danarosa, intellettualoide e arrapata che Marco Vespa ha già raccontato nelle sue opere precedenti, La maniera dell’eroe e Nata in riva al mare. Leggo queste pagine, vi sprofondo e di nuovo mi sembra di essere ripiombato in una versione (molto) letteraria e sicilianissima di Society. Non avete visto il film Society – The Horror? Vuol dire che siete molto giovani e sono felice che un giovine legga queste mie righe. Se invece non siete giovini e non avete mai visto Society, cosa dirvi… niente, il mondo è bello perché è vario. Però vi siete persi qualcosa, qualcosa che non c’entra niente con Tutte le sue grandezze. Mi serve però per fissare un punto fermo fra i tantissimi punti fermi che potrei scegliere e a cui aggrapparmi mentre scivolo dentro questo romanzo languido e malinconico, ma anche cinico e feroce, mentre rievoco in queste righe la lettura di questo vorticoso romanzo erotico-apocalittico scritto con la solita e ormai perfezionatissima tecnica di Marco Vespa. Il suo è un flusso di coscienza senza la parola coscienza, chiamiamolo perciò flusso di onniscienza. Sostituiamo alla rappresentazione dei pensieri di un soggetto qualunque, per esempio il ragionier Frittitta che fa una lunga passeggiata, la rappresentazione dello spirito del mondo che spia una comitiva di catanesazzi azzimati, drogatini e benestanti che fanno una festicciola e una scopatina di gruppo mentre il terremoto incombe sulla città e il gioco è fatto. Eccoci a Catania, nel presente, in Sicilia, la Sicilia bedda in cui sopravviviamo con stipendi da miserabili ululando tutte le nostre piccolezze sul web, a un passo da una catastrofe che cerchiamo di ignorare. E allora, in queste nostre vite schifose sabotate da altri miserabili che da lontano e con la nostra complicità stanno cercando di radere al suolo tutto quello per cui milioni di persone sono morte e hanno lottato negli ultimi secoli, non ci resta che spiare dal buco della serratura le ultime giornate di questa comitiva di riccastri. Ci illuderemo così di essere estranei alla loro decadenza, nell’illusione che il grande botto che stiamo caricando ogni giorno con la nostra condotta scellerata non ci riguardi. Perché noi siamo al sicuro, noi siamo innocenti, la natura, il buon Dio o l’uomo forte di turno ci risparmieranno e potremo rinascere, ignudi e puri.

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