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The number, il macabro universo di Thomas Ott

by Angelo Orlando Meloni

the-number-73304-23-4153-6-96-8-009Thomas Ott è un artista dal tratto straordinario con una straordinaria vocazione per l’orrido, l’inquietante, le stramberie. Storie malsane, le sue, letteralmente graffiate sulla carta con una tecnica d’incisione detta in inglese scratchboard. Il mio primo incontro con le sue opere risale a un secolo fa, quando a pubblicarlo in Italia era la Topolin Edizioni (poi sarebbe arrivata la Black Velvet e adesso Logos). Ricordo anche una mostra, dalle mie parti, a vulcano city. L’editore aveva esposto gran parte del suo catalogo, compresi gli albi di Ott. E ricordo pure una comitiva di futuri fuoricorso molto alternativi, che si erano aggirati attorno ai fumetti, annusandoli, finché uno di loro si sentì in dovere di dar prova di coraggio. Sembravano gli ominidi di Kubrick attorno al monolito. Sfidato l’ignoto, l’allocco strinse un albo tra le grinfie e a mo’ di trofeo lo portò via con sé verso l’uscita, subito seguito dal branco, che aveva imitato l’impresa del capo, e dall’editore. Quel mischinazzo fu costretto a fermarli davanti a tutti per farsi ridare i fumetti e ognuno dei testimoni poté avvertire il dong dell’incredibile brutta figura che rimbalzava sulle facce stolide di quei bellimbusti e si andava ad accartocciare per terra, accanto al buon senso. Ma guai a lamentarsi e a sognare mondi migliori, perché i mondi possibili in agguato posso essere più squallidi di quelli che vorremmo migliorare. Non l’ho mai capito se quella sera quei tipi avessero pensato che si trattava di volantini o di cataloghi o di fotocopie o boh. Se essi cioè avessero minimamente capito che lì c’era una mostra e non la sagra della birra o chissà cos’altro. O se ad attirarli fossero state le copertine di cartone, buone per fare i filtri delle canne a base di quell’erba albanese che aveva infestato i cervelli di un’intera generazione.

The_Number_(c)_Thomas OttLe uniche cose certe sono che quei candidi giovincelli erano davvero in buona fede, perché  non si erano resi conto di averli rubati, i fumetti, e che ogni qual volta so di un nuovo lavoro firmato da Thomas Ott continuo a ricordare questa storia insignificante e inquietante, come se qualcuno l’avesse graffiata nella mia memoria. Quella sera si era aperto un bivio nello spazio tempo. Fino a un secondo prima vivevo in un universo nel quale i micro-editori di fumetti alternativi se ne andavano in giro per i pub a promuovere le loro pubblicazioni, poi un bonghettaro deve aver dato un colpo fuori tempo di troppo e mi sono trovato nell’anti-universo in cui al posto dei pub c’erano rist-o-rama di design bianchi e i bonghettari si erano trasformati in teorici del liberismo selvaggio. Da allora, però, ogni tanto riaffiorano segni di vita, tracce della persistenza del vecchio universo nel nuovo, la sopravvivenza del culto per l’heavy metal, per esempio, o l’esistenza del film Guardians of Galaxy. Oppure la comparsa, ogni tanto, di un’altra opera di Thomas Ott come questo The number, che racconta il delirio d’una guardia carceraria causato dal ritrovamento di un bigliettino con un numero misterioso. Lo stesso numero che campeggia non solo nella copertina ma in ogni pagina di questo nerissimo fumetto privo di balloons. Tutte le pagine compresa l’ultima, quella che sto guardando adesso mentre penso a una squallida serata di tanti anni fa e a un mondo perduto. E mi sento come se fossi sprofondato dentro il macabro universo di Thomas Ott.

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