“Chi sa solo di calcio non sa niente di calcio”
Jose Mourinho
Molto spesso il giornalista che scrive di calcio in Italia non riesce a togliersi di dosso la pesantezza di quella parola. Il lettore tifoso non ha problemi ad accettare questo atteggiamento, ma il lettore che cerca l’obbiettività difficilmente la troverà in quei luoghi.
Credo che si possa parlare, che si debba parlare, di un libro che tratta dell’icona più importante dell’Inter (moderna) anche in un luogo frequentato per la maggior parte da tifosi juventini. Qui, il punto non sta nel voler dare peso ai trascorsi nerazzurri di Mourinho, ma nel affrontare con serenità il fatto che Mourinho, con tutti i suoi difetti e i suoi pregi, è un grande allenatore.
Il libro dunque.
Il libro ripercorre, a volte saltando temporalmente avanti e indietro, le tappe della carriera di Mourinho. E’ un viaggio tra gli alti (tanti) e i bassi (pochi) di uno degli allenatori più vincenti che il calcio abbia conosciuto.
Si tratta di un’opera che sta nel mezzo tra il saggio d’approfondimento e la biografia.
Modeo ha una cultura spropositata. Sembra affrontare l’argomento Mourinho da mille angolazioni diverse, lo accerchia, sfonda su tutti i lati, la fisica, la chimica, il cinema, la letteratura e l’arte nella sua interezza. Tutto spiega Mourinho, tutto contribuisce a costruire l’immagine che l’autore gli ha cucito addosso. E’ bene precisare che il ritratto di Modeo, per quanto possa essere preciso, è un ritratto di parte. Non siamo di fronte ad un biografo che tratta l’argomento con distacco quasi asettico, bensì ci troviamo al cospetto di un innamorato che tesse le lodi del proprio oggetto amoroso con punte di sfrontatezza. Forse l’autore avrebbe fatto bene a scriverlo fin dall’inizio, infatti quella che leggerete, se ne avrete voglia, è una dichiarazione d’amore verso l’allenatore che più di ogni altro ha scombussolato l’ambiente calcistico delle federazioni calcistiche in cui è stato.
Ciò che non ho amato del libro è l’eccessiva tendenza a giustificare ogni comportamento di Mourinho, anche i più discutibili. Uno per tutti, quello che ognuno di noi ha bene in mente, il gesto delle “Manette”. Famoso gesto riproposto poi da Moratti qualche tempo dopo. Bene, Modeo, vede in quel gesto un messaggio: potete pure incatenarmi e arrestarmi, ma questa squadra vincerà pure senza di me perché è la più forte. Ammettiamo pure che tale gesto abbia, nella mente di Mourinho questo esatto significato e ammettiamo pure che le tre giornate di squalifica siano frutto di una lettura sbagliata del gesto stesso da parte dell’autorità giudicante, quello che rimane però è la forte sensazione che a prescindere da ciò che Mourinho volesse comunicare, a prescindere dal valore che il gesto ha nel suo schema comunicativo, le “Manette” mostrate a tutto lo stadio assumono nella mente del tifoso medio un significato completamente diverso. Diventano semplicemente altro. Diventano il “ce l’hanno con noi”, il “siete una banda di ladri da arrestare”, “vanno contro di noi perché siamo forti”, etc etc. Pare un atto d’accusa contro il sistema che non fa altro che aizzare gli animi.
Il linguaggio del Portoghese è un linguaggio che va interpretato e non tutti ne hanno gli strumenti. E’ indubbio che qualsiasi aspetto circondi la sua persona sia studiato nei minimi particolari e si fondi su studi di psicologia, neuropsicologia e immagino pure di Programmazione Neuro Linguistica (PNL). E’ l’ambiente che contiene l’allenatore Mourinho a non essere in grado di contenerlo, di dargli il significato che gli appartiene. Perché Mourinho trasborda, sovrappone contesti, fornisce sempre una immagine mutevole.
Quando Mourinho dice di sentirsi un alieno, non va molto lontano dalla verità. Banalizzando, il Portoghese è uno che parla una lingua che pochi conoscono e ciò che non si conosce spaventa. Non è un caso che le chiacchierate più piacevoli le abbia intavolate con Sacchi, un altro che parla una lingua morta.
La mia più grande perplessità su questo libro però rimane quella del titolo scelto. Modeo sceglie “L’Alieno Mourinho” citando indirettamente una frase detta dallo stesso Portoghese ai tempi del Chelsea. Eppure, quello che cerca di fare è umanizzare Mourinho, giustificando (a volte come fa un padre con un figlio discolo) i comportamenti più vistosi, prevenendo a volte le perplessità di chi Mourinho l’ha visto scadere a volte in polemiche a distanza davvero poco signorili (Lo Monaco, Ranieri) e cercando inconsciamente di rintuzzare ogni possibile attacco alla propria creatura.
In realtà, per quello che mi riguarda, lo status di Alieno andrebbe preservato perché è questo che rende Mourinho un grande allenatore. Quella capacità di elevarsi sulle spalle dei giganti e proporre un proprio calcio, che può piacere (come spesso è piaciuto al sottoscritto) e che può non piacere (come spesso non è piaciuto al sottoscritto), ma che ha l’indubbio merito di essere solido, coerente e vincente. Il merito di non essere frutto di una serie fortunata di eventi, una benevola congiuntura di Budget, calciatori di valore e società disposte a lasciargli il controllo (maniacale) della gestione della squadra, ma di un lavoro prezioso fatto quotidianamente. Non arriverò a dire che Mourinho possa vincere con tutte le squadre e con tutti i giocatori, ma sono convinto che in tutte le squadre e con tutti i giocatori potrebbe esprime qualcosa di significativo. Anche solo un evento, ma poi si sa che sono gli eventi che cambiano il corso del mondo.
Un ulteriore elemento che può far comprendere il suo effettivo carattere accentratore e le dimensioni pseudo spaziali che il Portoghese occupa è il vuoto che lascia dopo la sua partenza. Un vuoto non solo fisico, ma anche un vuoto emotivo, un vuoto di potere, un vuoto che sembra inghiottire tutto come un buco nero e che rende, per ogni squadra lasciata, difficile la risalita.
Consiglio il libro di Modeo come base di partenza per un’esplorazione più consapevole del calcio moderno. Non si tratta infatti di un libro che ha come unico scopo quello di parlare di Mourinho, bensì quello di aiutare a far luce su ciò che c’è stato prima del Portoghese. Servono gli strumenti per capire il linguaggio del calcio e questo libro ne fornisce alcuni. In questo senso consiglierei anche l’altro libro dello stesso autore “Il Barça” che come da titolo esplora il gioco del Barcellona a ritroso fino ai tempi di Rinus Michels.
Personalmente, questo libro mi ha fatto cambiare idea sull’allenatore, ma non sulla persona. Non dispongo di un grado così elevato di indulgenza per poter giustificare tutte le astuzie Mourinhane, ma posso capire che si adopera per difenderlo ad oltranza.
In un certo senso, pure questo è un segno di fede.
Il libro è pubblicato dalla casa editrice ISBN Edizioni che ci piace molto per la varietà di temi che tratta nel suo catalogo e perché mantiene alta la qualità della narrativa e della saggistica. E no, non veniamo pagati per lodarli. (eventualmente se ne potrebbe parlare)