Sono esterefatto. E’ incredibile rendersi conto di quanti mondi coesistano sotto l’etichetta di “Graphic Novel”. Quando iniziai a leggere fumetti, un paio di decenni fa, le mie visite al negozio erano mal viste, sia dai familiari, sia dalle persone con le quali mi capitava di parlare della mia passione. Nel frattempo il termine Manga è stato sdoganato e accanto alla narrazione tradizionale si sono affiancate alcune forme di narrazione visiva che non hanno nulla da invidiare al fratello maggiore.
Il caso ha voluto che mi sia capitato per le mani “Quaderni Giapponesi” di Igort. Per una breve spiegazione di chi sia Igort nel panorama fumettistico italiano rimando alle note biografiche conclusive. Ora vi basti sapere che Igort è il fondatore di Cononino Press, una delle case editrici italiane che più ha creduto nelle graphic novel e che ha l’abilità di pubblicare alcuni dei più bei lavori del genere.
Tornando a “Quaderni Giapponesi”, la storia è autobiografica. Igort racconta la rincorsa ad un sogno, il sogno del Giappone, quello di lavorare come mangaka in Giappone, ma ci mette anche all’erta fin dalle prime battute. A volte il sogno rincorso, una volta raggiunto, ha colori e gusti diversi. Non è mai come ce lo aspettavamo. Quello di Igort però è un sogno che si realizza, almeno per quel che riguarda i tratti generali. Finisce a disegnare in Giappone, seguendo i ritmi furiosi dei mangaka del posto, arrivando a creare anche una storia al giorno per quella che sembra una vera e propria prova di iniziazione. “Quaderni Giapponesi” è anche altro però. E’ il racconto di un popolo, della sua dignità, delle sue contraddizioni attraverso alcune nozioni storiche e attraverso l’arte.
Non è difficile individuare, nelle tavole di questa graphic novel dei rimandi al cinema giapponese dei primi decenni del novecento, nonché dei veri e propri omaggi ai dipinti di Hokusai e alle opere d’arte che hanno fondato il senso estetico di questo paese meraviglioso.
In “Quaderni Giapponesi” c’è autobiografia, saggio storico, saggio letterario e ci sono tavole di fumetto dentro il fumetto con lo scopo di rendere evidente la progressione professionale di Igort.
Devo ammettere che faccio fatica a considerare questo capolavoro come una semplice graphic novel. A tratti mi sembrava di leggere un vero e proprio romanzo autobiografico profondamente intriso di malinconia. Malinconia che trasudava dai colori, dalle inquadrature e dalla caratterizzazione che Igort fa di se stesso.
Quello che ha scelto Igort per raccontare una parte di sé è uno strumento espressivo potentissimo. Immediato e dirompente. Credo che “Quaderni Giapponesi” non abbia nulla da invidiare alla pura autobiografia che, anzi, in alcuni momenti, sopravanza in splendore visivo.
Igort scrive e disegna storie da più di trent’anni e i suoi romanzi a fumetti sono pubblicati oggi in 27 Paesi. Negli ultimi anni si è dedicato in prevalenza al reportage disegnato, realizzando i Quaderni ucraini, Quaderni russi e Pagine nomadi.
Tra i suoi libri, vincitori di numerosi premi in Italia e all’estero: Goodbye Baobab (con Daniele Brolli), Sinatra, 5 è il numero perfetto, Fats Waller (su testi di Carlos Sampayo), Alligatore: dimmi che non vuoi morire (con Massimo Carlotto), La ballata di Hambone (con i disegni di Leila Marzocchi), Parola di Chandler (tradotto da Sandro Veronesi su testi di Raymond Chandler), Sinfonia a Bombay e Valvoline Story con Brolli, Jori, Carpinteri, Kramsky e Mattotti.