1961 – 1989. Ventotto anni di vita. Poi la distruzione, la liberazione, la caduta. Non una, tante, diverse picconate per far cadere il Muro di Berlino, il simbolo della divisione del mondo in due unità distinti e in contrapposizione: blocco occidentale da una parte, blocco sovietico dall’altra. Però, quel muro era qualcosa di più di un simbolo. Sì, perché noi lo vedevamo lontano, lungo (più di 155 km), ma non ci aveva cambiato la vita. Quello che invece è successo ai berlinesi. Il Muro divideva la città in due parti, senza la possibilità di passarci attraverso. In molti ci hanno provato. Cinque mila tentativi di fuga dalla Berlino est riusciti, un numero compreso tra 192 e 239, invece, i cittadini uccisi dalle guardie mentre tentavano di raggiungere l’ovest.
Una costruzione che ha diviso persone, affetti, conoscenze, ha chiuso delle possibilità. Perché questo era il Muro per i berlinesi. Berlino è una città grande, enorme e quindi poteva capitare che le persone non si sarebbero mai mosse dalla propria zona natale. Era una possibilità, diventò una costrizione, un atto di forza. E dall’altra parte del Muro c’era il benessere, la società occidentale che galoppava, mentre il blocco sovietico si trovava chiuso nella propria ideologia.
Una mostruosità, quel muro. Una aberrazione, il simbolo dell’ottusità umana quando gli uomini si inchinano alle ideologie. Con il crollo, Berlino è tornata una città aperta, i berlinesi hanno cancellato dal proprio cuore e dalla menti la certezza di essere divisi, separati tra di loro. Hanno riassaporato il profumo della libertà, il gusto vero e sincero della pienezza. Sono cadute anche le ideologie? O forse si è capito, per l’ennesima volta, che qualsiasi forma di radicalismo e fondamentalismo non fa compiere passi in avanti alla società?