La prima cosa che si può dire de “L’olivastro” di Marta Zura-Puntaroni è che a volta non servono troppe parole per raccontare una storia che funzioni dall’inizio alla fine e che, al termine della lettura, dia un profondo senso di soddisfazione. A essere precisi, in questo caso, sono bastate una cinquantina di pagine. E’ dunque questa la lunghezza del testo scritto da Marta Zura-Puntaroni, testo che si icardina all’interno di un lavoro più ampio che l’editore Effequ sta portando avanti con Olga Campofreda ed Eloisa Morra, ma su questo punto ci tornerò alla fine.
La storia è quella di Caterina, una ragazza profondamente legata alla propria terra e alle piante d’ulivo tanto adorate dal padre. All’interno della sua famiglia si scontrano per due anime, due forze quasi opposte. Da un lato quella del padre, persona mite, dedito alla vita dei campi, un’ideale di vita più rurale e tradizionale che scandisce tempi più lenti. Dall’altro lato c’è la madre, interessata al bell’aspetto, all’immagine prima di tutto, alla scalata sociale. Caterina è presa un po’ nel mezzo anche se la sua predilezione nei confronti della vita offertale dal padre e l’incapacità di andare d’accordo con la madre sono subito evidenti.
A un certo punto, per assecondare i desideri della madre, Caterina si trasferisce a studiare all’università a Milano assieme all’amico Filippo, ma mentre Filippo sembra cavalcare perfettamente la vita milanese, sembra trovarsi a suo agio in quel ritmo forsennato fatto apericene e abiti firmati, Caterina mostra quasi subito di non riuscire a tenere il passo della sua nuova vita. Viene da chiedersi perché farlo visto che non è ciò che vuole. È il peso materno che la tiene a Milano, che la fa imbarcare in una relazione che è evidentemente sbagliata.
Caterina è un olivastro, pianta simile all’olivo che però dà un olio un po’ più forte e aromatico. Caterina è l’espressione di un carattere che non deve per forza appartenere a un mondo che non vuole, ma che può sognare di tenere tra le mani un destino diverso.
Quando il fidanzato milanese Matteo incontra l’ex Valeria, Caterina capisce che lei è tutto quello che la madre vorrebbe che lei fosse. Milano non può funzionare, ma non può funzionare nemmeno la nuova immagine della campagna che viene interpretata dalla ex compagna di classe Simonetta Calamante. Simonetta viene scelta per essere la copertina di una rivista dei coltivatori diretti semplicemente perché lei, che da ragazzina bullizzava Caterina, ora ha delle forme più delicate e morbide rese rassicuranti dalla maternità. Anche il lato più legato al mondo rurale sta cercando un restyling per assomigliare al mondo patinato dell’alta società.
Come detto, “L’olivastro” è un racconto di una cinquantina di pagine che non si perde in fronzoli e che va dritto al punto. Aleggia per tutto il libro il rapporto che Caterina ha con il padre, quella complicità così genuina che non dovremmo mai mettere sullo stesso piano di certi rapporti artificiali.
“L’olivastro” di Marta Zura-Puntaroni si colloca all’interno di un progetto più ampio chiamato “Elettra” che ha come punto focale l’esplorazione del rapporto con il padre. Le curatrici di questa collana sono Olga Campofreda e Eloisa Morra che spiegano molto bene, nella perfezione al volume, il loro intento:
Ciascun racconto costituisce la tessera d’un mosaico che, componendo e scomponendo il volto del Padre, prova a inseguirne le tracce, nell’intento di ripercorrere l’evoluzione di un rapporto archetipico in rivolta.
Non ho dubbi, se la strada è quella tracciata da Marta Zura-Puntaroni questo progetto è destinato ad avere un grande successo di pubblico.
Marta Zura-Puntaroni è nata nelle Marche e ha vissuto a Siena, dove ha studiato e si è laureata in lettere moderne con una tesi sulla figura della Llorona. Ha lavorato nella comunicazione e tuttora gestisce la seguitissima pagina instagram @unasnob. Ha pubblicato i romanzi Grande Era Onirica (minimum fax 2017) e Noi non abbiamo colpa (minimum fax 2020). Attualmente vive a Padova.