La notte padana, romanzo d’esordio di Paolo Risi, è un giallo stratificato, che combina a elementi tipici del noir (il fondo di critica sociale, l’ambientazione ombrosa, la crudezza delle vicende narrate) l’ironia della satira e il taglio introspettivo della narrazione in prima persona.
Greg Stefanoni, protagonista e voce narrante, è, per usare un’espressione di debenedettiana memoria, un “personaggio brutto”, che riesce a toccare le corde dell’empatia del lettore fin dalle prime pagine proprio in virtù della sua inettitudine: Greg ha «una struttura psicologica rancorosa», una dipendenza dalla nicotina e dai liquori di basso costo, un ruolo professionale (viceredattore vicario del quotidiano locale La notte padana) che sembra essere stato creato appositamente per «attirare sarcasmo».
La vita del reporter, inoltre, era complicata già prima che il destino lo portasse sulla strada del serial killer della Provincia intermedia, su cui sta investigando per conto del quotidiano. Greg deve anche occuparsi dei debiti economici e affettivi dovuti a un matrimonio naufragato – quale altro status sentimentale ascrivere al nostro “protagonista brutto”? –, e deve soprattutto affrontare il peggioramento delle condizioni di salute della madre, un’insegnante in pensione affetta da demenza senile, non più in grado di ricordare neanche il nome di suo figlio. Quello della violenza ai danni della memoria è un nodo ricorrente nel romanzo, uno spazio narrativo in cui si allineano pubblico e privato, trama investigativa e storia familiare.
Ancora a proposito della madre del protagonista, va rilevato che le donne che popolano la trama sono sempre figure sfuggenti, simboli di un incontro mancato, di un confronto impossibile. A questa cifra interpretativa mi pare si possa ricondurre la costruzione di tutti i principali personaggi femminili, da una madre che vive sospesa nell’amnesia a una figlia onnipresente nei pensieri del protagonista ma mai colta realmente in azione sulla scena narrativa, da una ex moglie irraggiungibile nei suoi ideali di perfezione a una nuova fiamma che appare e scompare come un’ombra fantasmatica.
Se già nella vita affettiva del protagonista la questione emerge in forma embrionale, l’incapacità di penetrare la realtà attraverso la comunicazione si svela con maggiore nitidezza nella rappresentazione del mondo della cultura e dell’informazione. Non a caso l’ironia che sorvola tutto il romanzo arriva al suo apice nelle scene ambientate nei salotti televisivi e letterari, oltre che nella redazione del giornale: il direttore del quotidiano lamenta lo stile troppo sobrio e l’assenza di titoli a effetto negli articoli di Greg; la conduttrice di un programma di approfondimento pomeridiano piega il racconto delle vicende di cronaca alla necessità di mantenere un «approccio accorato»; i partecipanti alla presentazione di un libro, non appena si sconfina dal decalogo delle domande di routine da porre agli eventi culturali, spaesati cercano rifugio in qualche mondo virtuale grazie ai loro smartphone.
Vale la pena soffermarsi su quest’ultimo episodio, di vocazione metanarrativa, che esemplifica con particolare efficacia l’ironia amara che caratterizza la scrittura di Risi. Greg si reca per lavoro alla presentazione di un giallo di successo, dal titolo Cappotto di vermi. Il pubblico è costituito interamente da lettori forti iperaggiornati sulle ultime tendenze della narrativa di genere (noir, crime, polar), i quali, accalcati in una piccola libreria, ascoltano in adorazione il giovane giallista snocciolare i soliti cliché: le pressioni della filiera editoriale che impone ritmi incompatibili con le tempistiche della creatività, le aspettative che derivano dalla firma di un contratto con una casa di produzione cinematografica, la ricerca dell’ispirazione nel proprio vissuto. Prima che il rituale del firmacopie abbia inizio, Greg, irrimediabilmente annoiato, decide di intervenire e interroga lo scrittore sul rapporto con i modelli narrativi, dicendosi certo di aver riconosciuto durante la lettura di Cappotto di vermi l’influenza di Scerbanenco. Con la sua consueta attitudine al disastro imminente, il protagonista attende che la propria cialtroneria venga pubblicamente sbeffeggiata, e invece né il giallista né la sua presentatrice si accorgono che Greg sta soltanto fingendo di aver letto il romanzo.
Inoltrandosi nell’episodio della presentazione in libreria, si ha l’impressione di star leggendo, più che il racconto della partecipazione del protagonista a un evento culturale, il resoconto disingannato di una simulazione. L’ennesima farsa, in cui un pubblico pigro si sazia della messa in scena di una profondità fittizia.
Nell’indagine narrativa delle storture che caratterizzano il rapporto tra la società contemporanea e la realtà (la tendenza alla spettacolarizzazione, il richiamo dell’artificiosità, il diktat della fretta) si può, a mio avviso, individuare il macrotema del romanzo. Tornando alla trama investigativa, la realtà della cronaca, invece di essere indagata e sviscerata, viene costruita dai media seguendo consuetudini retoriche al servizio dei gusti del pubblico, molto distanti dalla fedeltà allo “zoccolo duro dei fatti”. A tutto questo si oppone lo spirito critico di Greg, l’attività di indagine che egli svolge parallelamente e in autonomia (verrebbe da dire “in direzione ostinata e contraria”): la sua esperienza investigativa allegorizza un’esigenza più profonda di ricerca della verità, è il recupero della volontà di riuscire a «individuare un flusso ininterrotto di corrispondenze» fra gli eventi.
Attraverso l’espediente narrativo del caso di un serial killer, Paolo Risi da un lato scava nella memoria di un passato non ancora remoto, dall’altro fotografa, con un realismo elegante e al tempo stesso irriverente, un presente che tenta di sfuggire al confronto con se stesso e con le proprie radici. E lo fa senza mai steccare una nota in un ritmo scorrevole e densissimo, lasciando in dono al lettore quel senso di appagamento semantico che si ricava solo dall’incontro con gli autori che hanno molto da dire.
Annachiara Biancardino
Paolo Risi è nato nel 1966 a Varese, dove tuttora abita. Si è laureato in Scienze motorie all’Università Cattolica di Milano.
Collabora con il magazine online zestletteraturasostenibile.com e amministra il sito verbanovolant.it (eventi e culture del Lago Maggiore). Un suo racconto è incluso nell’antologia Anatomè – Dissezioni Narrative.
La Notte Padana è il suo primo romanzo.