Paratesto:
Non è sgargiante, non vi attira a sé con immagini ingannevoli che promettono meraviglie che non possono mantenere. E’ una copertina cruda come la terra, che ricorda la creta, l’antichità, che racchiude in sé tutto quello che il libro potrà e vuole trasmettervi. Non siete esseri fluttuanti. I vostri piedi sono ben ancorati al suolo. Il suolo dei vostri padri. Benvenuti a Tuscania.
Testo:
Le combinazioni del rapporto tra provenienza dell’invesigatore/pseudo investigatore-vittima-delitto-luogo in cui si svolge la scena sono pressoche infinite. Per cui, non vi dovrebbe stupire che vi stia per parlare di un delitto avvenuto a Tuscania, che ha a che fare con i cavalli e che ha come protagonista principale un professore dell’Università di Ca’Foscari che ha una cattedra in Ippologia (ho controllato, non c’è) e che ogni tanto si lascia andare ad una scivolata dialettale. Comunque, tanto per darvi un assaggio della trama, vi basti sapere che il protagonista viene chiamato di prima mattina da un conoscente, tale Putzu, che di professione è archeologo. Ha bisogno di una consulenza per validare una teoria importantissima e quindi gli serve l’aiuto di Alvise Pàvari dal Canal. I due non si incontreranno mai più entrambi vivi.
Scordatevi dunque le storie piene di colpi di scena, quelle imbottite di tecnologia ed effetti speciali, quelle che hanno l’unico scopo di bombardarvi il cervello di dettagli superflui per poi far arrivare il finale da dove non ve lo sareste mai aspettato. Qui, in “Venivano da lontano” la storia è quasi solo un pretesto per poter raccontare un pezzo d’Italia in cui il tempo sembra essersi fermato. In parte quella di Venezia, città in cui vive Alvise Pàvari dal Canal, eminente professore dell’Università Ca’Foscari, e nella parte che manca, la maremma incarnata nei ritmi e nelle usanze di Tuscania. Caponetti racconta di persone vere, di gente che lavora con le proprie mani per guardagnarsi da vivere, che vive in simbiosi con la propria terra e ne trae giovamento. Per cui, se siete amanti di Dan Brown o di Ludlum, forse “Venivano da lontano” non fa per voi, non ci troverete violenza gratuita e nemmeno l’ultimo ritrovato della tecnologia spionistica. Ci troverete cellulari che non hanno campo, zuppe di fagioli e buon vino, Cavalle che partoriscono e vecchietti novantenni che intrecciano vimini e parlano in un dialetto tanto stretto da lasciare spazio all’immaginazione.
E’ un aggettivo la prima parola che mi viene in mente per descrivere “Veniamo da lontano” e si tratta di: genuino.
Non si ha l’impressione che l’autore stia prendendo in giro il lettore, che lo porti a spasso per ducento pagine per poi stordirlo con un colpo di scena. Caponetti usa il delitto (ovviamente c’è qualcuno che muore, sennò che giallo sarebbe) come chiavistello per aprire un portone e farvi immergere nell’atmosfera quasi medievale di Tuscania. Se vi succederà quello che è capitato a me dopo aver letto l’ultima pagina potreste decidere di fare un salto in Toscana a controllare che sia tutto ancora così.
Coordinate:
Diversa dal solito la vita di Giorgio Caponetti nasce a Torino, ha una promettente carriera da pubblicitario e poi viene richiamato dalla terra di cui scrive e finisce ad allevare e addestrare cavalli prima nel Monferrato e poi in Maremma. Ve ne accorgerete leggendolo che non vi è alcun dubbito che Caponetti ami la terra in cui vive. Questo amore traspare chiarmente dai periodi che Caponetti dedica a Tuscania e al suo rapporto indissolubile con il passato.
Marcos Y Marcos respira letteratura da più di trent’anni. La qualità di quello che producono, sia in termini di narrativa, sia in termini di oggetto libro è sempre molto alta. E’ un piacere tenere un loro libro in mano, ti coinvolge nella lettura, è una finestra aperta che si affaccia sulla storia che stai per affrontare. Le pagine scorrono via liscie, il carattere è chiaro, ha tutto la giusta grandezza. Vogliono farti leggere, non farti diventare cieco.
(Gianluigi Bodi) @Louie75