Per anni, in Italia, il fumetto è stato un barbone, un tossico, un poco di buono che chiedeva l’elemosina con una mano e con l’altra ti sfilava il portafogli dalle chiappe. Uno studelinquente fuori corso che ci raccontava storie improbabili e immorali, fatto di alcol e colla, impresentabile in società. Giammai ti saresti fatto vedere in giro con un fumetto sotto braccio, persino dai tuoi compagni di bisboccia più cari. Poi le cose, però, sono cambiate. Dannazione se sono cambiate. Il fumetto si è messo il vestito buono ed è andato al gran ballo dell’alta società, dove è salito su di un pulpito e ha cominciato a dirci come ci saremmo dovuti comportare per essere bravi ragazzi che si fidanzano con le belle lettere & tutti vissero felici e contenti. Ma nessuno gli aveva fatto una doccia, prima. E così il fumetto, sotto il suo smoking nuovo nuovo e fresco di stiratura, e ben oltre i profumi, gli olii e le essenze che qualcuno gli aveva spruzzato addosso, ha continuato a puzzare. Quel fetore lo puoi sentire in ogni libreria, appena ti avvicini al reparto graphic novel, lì dove un tempo avresti potuto trovare qualcosa che ti avrebbe cambiato prospettiva, illuso, fregato e offeso, e poi illuminato, deliziato ed esaltato, e adesso trovi i breviari dei santi laici e i comandamenti per diventare bravi bambini & cittadini modello. Ed è per questo che non ho letto La scimmia di Hartlepool (testi di Wilfrid Lupano, disegni di Jérémie Moreau “Morrow” e pubblicato in Italia da Tunué) per sensibilizzarmi di fronte ai problemi del razzismo e del nazionalismo. Certamente, razzismo e nazionalismo mi sembrano due cose disdicevoli. Ma che il razzismo e il nazionalismo siano due brutte bestie non me lo ha insegnato un fumetto, me lo hanno insegnato la mia vita e la storia dell’umanità, quella che ho studiato su saggi e manuali. Non ho avuto bisogno di un fumetto per capirlo. Anzi, non ho mai avuto bisogno di un fumetto per imparare qualcosa. I fumetti sono tombe scoperchiate, mani ossute che mi tirano giù e mi trasportano in un altro mondo. Roba che dà i bridivi. E La scimmia di Hartlepool ne è l’ennesima conferma. Anche se molti batteranno il tasto del momento pedagogico, non suonerò quella tromba. Sappiate che lo smoking con cui qualcuno cercherà di nasconderlo non nasconderà l’orrore raccontato dalla grottesca leggenda della scimmia di Hartlepool, qui rivisitata dal duo francese Lupano-Morrow e splendidamente confezionata dalla nostra Tunué. Una storia che lascia sgomenti per la scempiaggine e per il gratuito orrore che ne traboccano, che si legge alla velocità della luce godendo dei disegni di Jérémie Moreau “Morrow” e che nemmeno una sceneggiatura affetta dalla sindrome di Forrest Gump o la dotta postfazione riescono a scalfire.
Fumetti
Editoria dell’immaginario – Intervista a Massimiliano Clemente di Tunué
Continuano i contributi sul mondo del fumetto e oggi, in occasione dell’apertura del Lucca Comics and Games 2015, intervistiamo il direttore editoriale di Tunué, Massimiliano Clemente. Allo stand di Tunué a Lucca potrete trovare molti autori italiani e stranieri disponibili per dediche e autografi e diverse novità in anteprima, tra cui l’edizione deluxe di Monster Allergy, che sarà presentata sabato 31 ottobre.
Innanzitutto ti ringrazio per aver accettato di concederci un’intervista. Per prima cosa ti vorrei chiedere di presentare brevemente Tunué, la casa editrice di cui sei direttore editoriale. Com’è nata l’idea di definirvi “editori dell’immaginario”?
Dopo dieci anni di attività, posso dire che oggi la Tunué è una delle principali case editrici italiane specializzate in graphic novel, fumetti per lettori junior, saggistica sui comics, l’animazione e i fenomeni pop contemporanei, e da due anni abbiamo una collana di narrativa letteraria che si è ritagliata uno spazio di riconoscibilità, per qualità delle proposte, niente male. Abbiamo iniziato con piccoli passi, dal basso, totalmente calati in un universo di rimandi e contaminazioni tra letteratura, fumetto, cinema, animazione che sono state le basi del nostro fare editoria. L’immaginario come panorama di riferimento.
Tunué si caratterizza per una linea editoriale ben precisa, improntata verso la graphic novel e la cultura pop. Qual è lo stato del fumetto in Italia? Si fa leva su uno zoccolo duro di appassionati o ci sono anche lettori, per così dire, occasionali?
In Italia si pubblica tantissimo fumetto, sia nei canali di varia sia in quelli specializzati e nelle edicole. Questo può essere letto in due modi: il settore è florido perché c’è abbondanza di proposte, o, all’opposto, vive in una perenne crisi e cerca di conquistare più lettori possibili. Ognuno tira la coperta dove preferisce, anche a seconda del momento. Purtroppo non esistono cifre ufficiali di vendita e bisogna basarsi su elaborazioni statistiche e sull’esperienza diretta. Per esempio, a giudicare dalle fiere, Lucca in primis, il fumetto e tutto l’indotto sono in salute. La forza di penetrazione che il graphic novel ha tra i lettori forti di letteratura, oltre a fare ben sperare per i prossimi anni, conferma che ci sono lettori occasionali che provengono da altre esperienze di lettura. Il grande successo mediatico di Gipi o Zerocalcare, che ha trasformato autori di qualità in fenomeni di costume, ha portato al fumetto una fetta trasversale di lettori che non avevano mai aperto un libro a fumetti.
Nel vostro catalogo sono presenti diversi autori stranieri, di cui ben tre candidati al Premio Gran Guinigi 2015. Che rapporto avete con i vostri traduttori? Cosa ci si aspetta da un traduttore di graphic novel?
Considero la traduzione uno degli aspetti fondamentali nel processo di adattamento editoriale. Il confronto per il traduttore di graphic novel è dato da un limite che non è presente nei testi in prosa: il balloon, la didascalia, la vignetta. Uno spazio chiuso che è un vincolo, una sfida all’abilità del traduttore. La Tunué lavora molto spesso con gli stessi traduttori, perché la condizione ideale è dare una «voce» unica a ogni singolo autore estero.
Piccola provocazione: che ne dite di inserire il nome del traduttore nella scheda tecnica del libro presente sul vostro sito?
Più che provocazione, suggerimento che ben accetto: mi informerò con i nostri tecnici per capire se ciò sia possibile. Però vorrei far notare che siamo tra i pochissimi, se non gli unici nel fumetto, che scrivono il nome del traduttore (oltre che del colorista, nei casi in cui sia presente) direttamente sulle copertine dei libri. [Verissimo, e d’altra parte qui a Senzatraduzioni scegliamo solo gli editori che trattano bene i loro traduttori! N.d.R.]
Grazie ancora a Massimiliano per la sua disponibilità. Se andate al Lucca Comics and Games e volete conoscere tutte le iniziative di Tunué durante la fiera, cliccate qui.
Inauguriamo oggi la rubrica “Non di soli romanzi vive il traduttore” occupandoci di un genere che sta suscitando sempre più interesse, quello del fumetto. E lo facciamo attraverso le parole di Leonardo Rizzi che in questo articolo ci parla
delle sue traduzioni di Alan Moore, in particolare V for Vendetta e Providence, la nuova maxi-serie dell’autore che Panini pubblicherà a partire da novembre. L’articolo di Leonardo è talmente ghiotto che abbiamo deciso di dividerlo in due parti: oggi l’introduzione e la parte su V for Vendetta con tavole originali e tradotte e lunedì la parte su Providence, con immagini in anteprima (sì, avete capito bene!), gentilmente concesse da Panini. Godetevi la prima parte e non perdertevi la seconda lunedì possimo!
Tradurre un fumetto vuol dire affrontare complessità ingannevoli. Eppure tutto questo mezzo di comunicazione instaura con il lettore un dialogo basato su una semplicità solo apparente. La sua grande immediatezza deriva dall’impatto che le immagini hanno sul lettore e dall’ordine in cui queste sono disposte. È proprio questa sequenza che permette poi al lettore di riempire i buchi narrativi e iniziare una sorta di dialogo con la pagina stampata. La grande forza della narrazione fumettistica è quindi il rapporto che riesce a instaurare con i lettori, facendo loro intuire cosa succede tra vignetta e vignetta, invitandoli a investire intellettualmente ed emotivamente in quello che leggono. Per certi versi la parola scritta, il testo che riempie le nuvolette o le didascalie di una tavola, è solo il terzo strumento comunicativo di questo medium. È l’equilibrio tra immagine, sequenza narrativa e testo che rende il fumetto tanto speciale. In questo mezzo di comunicazione la parola scritta non ha lo stesso primato che detiene nel romanzo e viene relegata a essere uno dei principali componenti della comunicazione. Ma se le immagini e la sequenza in cui sono disposte permettono di veicolare gran parte della narrazione fondamentale, sono proprio le parole che consentono di scavare ancora di più in quanto è descritto graficamente. Il testo permette di approfondire tutto quello che non è possibile disegnare, come ad esempio i paradossi e i concetti più astratti.
La difficoltà generale della traduzione del fumetto è chiaramente rappresentata dai suoi limiti spaziali. Il testo tradotto non può essere più lungo di quello di partenza, se lo si vuole infilare in un balloon. Per il traduttore questo significa operare continuamente sacrifici testuali; comprendere la strategia narrativa messa in atto dall’autore e crearne un equivalente. In pratica, è l’equivalente letterario di giocare una partita di calcio contro la squadra più forte del campionato: l’obiettivo del traduttore è solo segnare gli stessi punti che segnano gli avversari, accontentandosi di pareggiare o almeno di non fare troppa brutta figura. Oppure, se vogliamo usare un’altra similitudine, potremmo dire che il traduttore è una sorta di prestigiatore impegnato ad ammaliare il pubblico senza far scoprire i propri trucchi.
Se una manipolazione maldestra o un trucco malriuscito vengono avvistati dal lettore, allora la sospensione dell’incredulità viene rapidamente smarrita. E con quella vanno via il gioco, il divertimento, la malia del testo. Questo significa che cercare di risolvere un problema traduttivo con una nota pie’ di pagina è sempre una soluzione molto maldestra. Le note a pie’ di pagina, infatti, fanno incespicare la scansione narrativa costringendo gli occhi del lettore a scendere in fondo alla pagina. La strategia narrativa dell’autore viene modificata. Per quanto possa sembrare una questione molto sottile, l’inserimento di una nota a pie’ di pagina modifica in maniera profonda il rapporto emozionale con la narrazione. È quindi opportuno che un buon traduttore scelga sempre la via più impervia: riprodurre sempre nella propria lingua, nel modo più economico possibile, la strategia narrativa. Ovvero far credere, almeno per un istante, che il fumetto tradotto sia stato scritto davvero nella nostra lingua.
Se il fumetto è poco parlato o rivolto ai più piccoli, spesso questo problema non sussiste. Ma quando la scrittura è affidata a un autore più audace, il testo fumettistico può arrivare a dominare la narrazione. E allora possono succedere le cose più strane. Proprio perché gran parte delle informazioni indispensabili vengono veicolate con le immagini, gli autori più audaci utilizzano il testo per sbizzarrirsi in linguaggi inventati, paradossali, stilizzazioni estreme.
Per toccare praticamente di alcuni dei problemi principali che ho incontrato nei miei anni di traduzione fumettistica, è forse il caso di parlare di uno degli autori più brillanti e complessi degli ultimi trent’anni. Uno scrittore che dà sempre molto filo da torcere ai suoi traduttori. È l’inglese Alan Moore, uno dei principali innovatori degli ultimi decenni, uno dei primi a introdurre una forte complessità letteraria in questo mondo spingendo il linguaggio verso i suoi confini più estremi. Nella sua bibliografia sterminata non si possono non ricordare classici come V for Vendetta, Watchmen e From Hell. Nel corso degli anni, ho avuto tanto il piacere di tradurre la maggior parte delle sue opere sia fumettistiche che letterarie, di esplorare la sua voce narrativa e di imparare le più spregiudicate tecniche di sceneggiatura da lui esplorate. Mi sembra interessante quindi dare un’occhiata a due dei suoi lavori più impegnativi: V for Vendetta e Providence.
Disegnato con toni foschi e raffinati dal meraviglioso David Lloyd, V for Vendetta è un graphic novel orwelliano ambientato in una futuristica Inghilterra neofascista in cui il vigilante mascherato “V” getta i semi della rivoluzione con un panache alla Cyrano de Bergerac. (Per inciso, V indossa la maschera del dinamitardo Guy Fawkes, che da spauracchio della cultura inglese è ora diventato simbolo degli attivisti Anonymous.) Questo graphic novel ha conosciuto in Italia una decina di edizioni diverse diventando uno dei principali long-seller della nostra editoria. Al di là della forza della sua premessa e della sua narrazione, uno dei grandissimi piaceri nel leggere V for Vendetta è proprio il lavoro fatto da Moore sulla lingua. E questo significa che in quelle trecento pagine i problemi traduttivi non fanno che moltiplicarsi.
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Una difficoltà generale è stata riuscire a prendere un’intera cultura inglese piena di assonanze, di riferimenti visibili solo in filigrana, di battute e filastrocche che si imparano alla scuola elementare, e in qualche modo renderle in italiano, facendo in modo che tutti quei riferimenti diventassero chiari per un lettore italiano anche senza rinunciare al loro esotismo. Come si traduce una canzone da birreria con un tema che rispecchi quello del romanzo, quando le nostre vanno principalmente nella direzione di “Osteria numero cento”? E come rendere i funambolismi in rima di una canzone da cabaret piena di allusioni sessuali e nazifasciste in modo da far sorridere d’orrore anche i lettori? Questo senza dimenticare che il titolo di ogni capitolo deve iniziare con la lettera “V”, simbolo che percorre ossessivamente tutto il graphic novel riecheggiando Thomas Pynchon.
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Uno dei principali problemi traduttivi è stato poi tradurre This Vicious Cabaret, una canzone che funge da introduzione alla seconda parte del romanzo e che ne riassume le vicende. Questo non è semplicemente un testo in rima da tradurre tutto sommato con una certa libertà, pur rispettando le esigenze dell’autore. Per l’orrore di tutti i traduttori, la canzone viene riprodotta anche su uno spartito. Una vecchia edizione del romanzo aveva evitato il problema a pie’ pari, affiancando allo spartito con il testo in inglese una traduzione letterale italiana. Eppure, risolvendo così il problema, la vecchia edizione presentava uno scollamento tra testo inglese e testo italiano e il lettore non poteva trarre alcun piacere emotivo dalla genialità dell’autore. L’unica soluzione, ahimè, è stata quella di trovare una traduzione che conservasse il senso del testo originale, lo schema delle rime, lo schema delle assonanze e anche la precisissima scansione metrica, perché fosse possibile adattare la canzone alla partitura. Lascio solo immaginare i lettori quanti giorni di lavoro siano andati via per tradurre queste sei pagine.
Un altro problema interessante è stato trovare un linguaggio italiano per il protagonista V. Questo misterioso anarchico con la maschera di Guy Fawkes che inizialmente si esprime con uno stile naturalistico, ma lentamente inizia a rivelare la sua natura di rivoluzionario romantico, di entertainer della distruzione, parlando con una cadenza di versi non rimati (generalmente pentametri giambici, accompagnati da senari e ottonari). Una caratterizzazione talmente prepotente aveva bisogno di un suo corrispettivo italiano, raggiunto dopo una faticosa traduzione e rielaborazione dei versi originali. I metri usati non corrispondono esattamente a quelli di Moore, ma credo che il senso del suo parlare sia equivalente. Il lento sciabordio dei versi di V, nei suoi monologhi, nei suoi dialoghi, acquista un tono profetico e rivelatore.
Leonardo Rizzi
Souvenir dell’impero dell’atomo (Bao publishing), scritto da Thierry Smolderen e disegnato da Alexandre Clérisse, è un fumettone coloratissimo che inizia male ma cresce e lievita come una torta. Una torta di quelle gustosissime e non di quelle dove tutta la cura è riservata alla decorazione. Parte male, però, Souvenir dell’impero dell’atomo, parte come… come un graphic novel. Ecco, l’ho detto. Parte con un pugno di didascalie inutili, quanto meno ridondanti. Già, come una di quelle opere che il disgusto snob imperante, dopo aver legato e imbavagliato la gioia della lettura, ha cercato di separare surrettiziamente dai fumetti per elevarle al rango di arte di serie A per gente fichissima diversa dai villani che leggono storielle disegnate. Ma ben lungi dall’essere dedicato a qualche santo laico e alle sue pie opere, o ad altre tematiche pedagogiche che cambieranno il mondo e ci faranno sentire più belli e più buoni, Souvenir dell’impero dell’atomo è un albo oltraggiosamente fantascientifico. Sissignore. Con tanto di astronavi, amicizie e complotti intergalattici, anzi, amicizie e complotti intergalattici telepatici, scienziato pazzo, imperatore pazzo, mega guerra civile spaziale e super pianeta misterioso.
Ma se ciò forse potrà far inorridire qualcuno, qualche devoto della chiesa realista, di questi astratti furori, di queste paturnie potremmo disinteressarci con estrema facilità se solo continuassimo la lettura delle disavventure di uno scrittore di fantascienza degli anni Cinquanta alle prese con il destino del cosmo. Con i suoi deliziosi disegni e la sua trama molto ben strutturata, Souvenir dell’impero dell’atomo è un fantasioso omaggio alla fantascienza del tempo che fu, l’ennesimo esempio delle infinite potenzialità espressive delle nuvole disegnate, e anche una strizzata d’occhi agli amanti delle belle cose di una volta. Se l’estetica anticata vi piace, se il retrofuturo, il vecchio design vi fanno sbavare, questo fumetto è fatto per voi, dannati hipster. Provare per credere. E se poi vorrete chiamarlo graphic novel, pazienza, qui non si arrabbierà nessuno.