In principio fu Zidane, il Verbo del calcio per alcuni, ma in quell’occasione il simbolo della Francia. Siamo a Berlino, luglio 2006, finale della Coppa del Mondo. In campo, lo sanno anche i sassi, l’Italia. Nei supplementari, il francese colpisce con una testata Materazzi, il quale resta a terra per diversi minuti, quei minuti necessari per i direttori di gara per prendere la decisione: rosso diretto per Zidane e carriera finita con questa macchia. Nessuno degli arbitri si era però accorto di quanto avvenuto, per la prima volta la moviola scese tra i pallonari e aiutò a prendere la giusta decisione.
Da quella sera, il calcio ha provato a prendere un’altra strada, un indirizzo che non sta dando i risultati sperati. L’equazione: “aumentiamo gli arbitri=meno errori in campo” non funziona, semplicemente perché la decisione spetta sempre all’uomo, per natura stessa portato a sbagliare, in difficoltà di fronte a un calcio sempre più veloce. Anzi, assistiamo a scene di difficile interpretazione come quella accaduta a Napoli settimana scorsa: arbitri che discutono tra loro tramite auricolare per alcuni minuti prima di prendere la decisione. C’è chi parla di ausilio del replay anche in questo caso, c’è chi ipotizza semplicemente che i direttori di gara siano stati bravi arrivando a convalidare la rete.
Quei minuti potevano essere utilizzati osservando la moviola? Sì, indubbiamente. E qui cade una delle accuse dei puristi del gioco: l’uso del replay spezzerebbe troppo il gioco, ma è proprio quello che sta accadendo. Attenzione, però, perché la tecnologia rappresenta un ausilio, non si sostituisce all’essere umano. Osservare un’azione, un episodio dubbio a velocità rallentata può aiutare gli arbitri nella interpretazione di episodi dubbi.
Si parta, quindi, da questa certezza e si decida come utilizzarla. In altri sport, la moviola in campo è già realtà. Solo il calcio sembra avere paura nel timore di macchiare una purezza recondita.