Ammettiamolo pure: il 99,9% di noi non potrebbe mai stare senza Internet. Non facciamo altro che ripetere frasi come “Siamo stati per millenni senza Internet, sopravvivremmo lo stesso”, ma la verità è che se, per un motivo X, improvvisamente non avessimo più la possibilità di navigare online, la maggior parte della popolazione mondiale darebbe di matto (compresa la sottoscritta, molto probabilmente).
Se, sotto molti aspetti, Internet ci ha semplificato la vita, poiché ci basta aprire una pagina web per avere l’intero mondo a nostra disposizione, è comunque vero che un uso errato o eccessivo di questo potente strumento può facilmente tramutarsi in un mezzo di distruzione dell’anima. Questo è il messaggio che lancia, a parer mio, con ottimi risultati, il film “Disconnect”, in cui il tema centrale non è Internet, bensì il senso di solitudine che spingerà i protagonisti ad avventurarsi nello spietato mondo del web, dove qualsiasi informazione è lì, pronta per essere consultata in un nanosecondo.
Diretto da Henry Alex Rubin nel 2012, ma distribuito in Italia soltanto dal 9 gennaio 2014, “Disconnect” racconta tre storie che, proprio a causa di Internet, s’intersecheranno l’una con l’altra: prima di tutto la storia di Rich Boyd (interpretato da Jason Bateman), un uomo perennemente attaccato al suo smartphone e talmente concentrato nel lavoro da trascurare la famiglia, in particolare il figlio adolescente Ben, un ragazzo introverso e solitario, con una grande passione per la musica, il quale verrà presto preso di mira da due compagni di scuola, che gli tenderanno una trappola su Facebook; poi la storia di Derek e Cindy Hull, sposati da anni, il cui rapporto è entrato in crisi dopo la perdita del figlio appena nato, attaccati da un hacker che riuscirà ad accedere al loro conto in banca; infine la storia di Nina, brillante giornalista, intenta ad indagare a proposito di un sito in cui ragazzi e ragazze offrono prestazioni sessuali virtuali in cambio di soldi e regali, mediante una vera e propria wishlist.
A differenza dei classici film-denuncia di cui ormai ne abbiamo piene le scatole, “Disconnect” mira più ad analizzare i sentimenti dei personaggi coinvolti, che a manifestare contro l’abuso di Internet: abbattendo il muro virtuale dietro cui, volente o nolente, si erano finora nascosti, i protagonisti, tramite le forti esperienze che vivranno in prima persona, riusciranno in qualche modo ad “emergere” dal cyberspazio e a diventare persone “reali”. Con esito positivo o negativo, lo scoprirete guardando il film.
Altro particolare interessante, a mio avviso, l’utilizzo dei colori: tonalità spente, che descrivono perfettamente lo stato d’animo dominante nei protagonisti, e permettono allo spettatore di vivere con essi la loro situazione di disagio, il loro sentirsi costantemente nel posto sbagliato.
Sebbene non sia uno dei film più allegri di sempre, vi consiglio assolutamente di vedere “Disconnect” perché penso vi farà riflettere molto, in primo luogo sulla mancanza di riguardo verso le cose importanti, quali la famiglia, l’amore, e soprattutto il concetto di identità; in secondo luogo avrete la possibilità di provare una molteplicità di emozioni: dalla felicità al dolore, dal rimorso allo stupore, qualsiasi emozione proverete, vi resterà comunque impressa per sempre.