Colapesce fa un nuovo (per me bellissimo) disco, Infedele, tira fuori un altro (per me bellissimo) video, firmato Ground’s Oranges, ed eccoci di nuovo qua, che dopo il concerto “mi sento totale”. Grande show l’altra sera, mercoledì 24 gennaio 2018, al teatro Odeon di Catania, fin dall’apertura con la voce e la chitarra di Carlo Barbagallo. E poi via con la band di Colapesce (bravissimi): lo spettacolo comincia con un pezzone di grande impatto, rock-elettronico-qualcosa, e va avanti tra vecchie e nuove canzoni, secchiate di intimismo ed esplosioni di chitarrone/sassofoni/tastieroni più una cover di Battiato che ci ha fatto venire i lucciconi agli occhi. In genere a questa sorta di riunioni ricreativo-concertistiche trovi l’intellighenzia carbonara dei duri e puri, quelli per cui la musica è una questione di vita o di morte. Stan tutti lì pronti a censurare chiunque di loro abbia tradito la causa e avuto la disgrazia di vendere mezzo disco. Tanti piccoli Savonarola cresciuti a pane e rock anni ’90, farcito con nichilismo q.b. e con l’ipocrisia maledettista di quei poseur che predicano bene e campano con i soldi di mamma e papà. Quant’è ridicolo l’odio sia di questi attempati, avviliti censori sia dei loro giovini epigoni animati dagli astratti furori. Questi ultimi hanno una possibilità di salvezza, ma se butteranno giù la pillola sbagliata rimarranno imprigionati nell’incubo, nel rancore, costretti a leggere libri che vogliono cambiare il mondo e musica che vuole migliorarlo. Così è la vita, ognuno artefice del proprio destino, o per meglio dire della pillola che butterà giù. Ma quel che voglio raccontare qui, in questo resoconto d’una serata ordinariamente straordinaria, in verità è un’altra cosa, perché il miserabile spettacolo che offriamo ogni giorno sui social network è rimasto al di fuori del teatro, confinato nel mondo virtuale. A Catania, insomma, ha vinto il candore, la lineare bellezza d’una musica semplice ma stratificata, orecchiabile ma anche complessa, strutturata e pervasiva. Il nuovo disco di Colapesce è stato accolto e raccontato dalla critica con argomentazioni di questo tenore, si legge qua e là. E non entro nel merito perché sono un fan e non un critico musicale, per me il disco – come dicevo su – è semplicemente bello e bellissimo. Ma sono argomentazioni che nel passaggio dall’ascolto casalingo al concerto sono state confermate dai fatti, dalle sensazioni, dalle reazioni di una platea partecipe ed emozionata. Sia la paccottiglia per fedelissimi sia il rancore dei mistici sono rimasti al di fuori della sala. L’unica cosa che contava era la musica. Ed è stato troppo forte sentirsi “totale”.
Colapesce
Colapesce dal vivo sabato 21 febbraio 2015 al Ma (Catania): semplicemente mostruoso. Anzi, e al netto dei problemi tecnici che hanno rotto le uova nel paniere durante lo spettacolo, semplicemente egomostruoso. Nuovo disco, nuova band, nuova produzione e pezzi nuovi nuovissimi. Anzi, vecchi e nuovissimi, retro-futuribili & deliziosi. Tutto esaurito, ma la sala si riempie a poco a poco. All’inizio sembrava esserci qualche dubbio, come se ci stessimo chiedendo “e adesso, maledetti italiani, cosa succederà, che ne sarà di noi”? Ma la freddezza si è sciolta subito, i dubbi scomparsi un pezzo dopo l’altro e via si finisce a cantare tutti insieme. Se questo è pop, lunga vita al pop. Colapesce è uno di quelli che non si accontenta, alza sempre l’asticella. E se tutto ciò è rischioso per l’artista, nei casi fortunati può arrecare enorme soddisfazione a chi ha comprato il biglietto del concerto. Il tour di Egomostro è appena cominciato, non sarà difficilissimo seguire il cantautore siciliano e farvi un’idea di quanto sto scrivendo.
Dopo uno show così efficace e felicemente tastieroso, giocato sul filo di una sensibilità rock che non manca di apparire qua e là attraverso la preponderante vena melodica, l’intimismo e le suddette tastierone, spero che nessuno si metta più su giornali, riviste, fanzine, blogzine e bacheche a cantare la canzone stonata che ho visto apparire in questi anni un numero di volte sufficiente perché persino un Hari Seldon possa perdere fiducia nell’umanità, buttare a mare la psicostoria e darsi alla roba pesante e alla tektonic music. Quale canzone? Quella, stonatissima, dei vecchi tempi e della grande canzone d’autore del tempo che fu. Se anche voi siete soliti cantare “un tempo c’era De Gregori”, sappiate che oltre ai maestri ci sono un sacco di altre persone che fanno ottima & maledettissima musica. E l’amico Lorenzo Urciullo, alias Colapesce, è uno di loro. Certamente, i miti con cui indoriamo la pillola e buttiamo giù il fiele delle nostre buste paga possono essere di aiuto per andare avanti. Lo so, lo sappiamo, funziona così, siamo umani. Ma tutto ciò non contribuisce necessariamente a renderci più simpatici. Oh, maledetti, maledetti italiani, maledetto me.