Paratesto:
Copertina meravigliosa questa de “L’estate del cane bambino“, ogni volta che prendevo in mano il libro per leggerlo e anche alla fine, dopo averlo terminato, rimanevo lì ad osservarla, ad accarezzarla, perché in tutto quel nero che sovrasta i tre ragazzi e il loro amico a quattro zampe c’è tutta l’inquitudine e tutta la malinconia che mi ha messo addosso questo libro.
Testo:
E’ autunno, scende la nebbia, sale la malinconia. Aver incrociato le armi con “L’estate del cane bambino” proprio adesso deve essere un segno del destino.
Partiamo dalla fine. Questo libro mi ha commosso. Ho letto molto nel 2014, libri tosti a volte, l’unico per il quale posso dire di aver pianto è questo. Non so se come recensione valga, a dire il vero, la migliore recensione che potrei fare per rendere giustizia a quest’opera è un semplice: compratelo teste di cazzo. Ma detto da me non avrebbe la stessa forza che se lo avesse detto D’orrico, che anzi, avrebbe iniziato la sua recensione con uno splendido “Quelli come Pistacchio e Toffanello in america li avrebbero chiamati Larger than life“. E questa è, me lo consentire, una citazione pop.
Una storia profonda, un dramma lungo cinquant’anni e un’infinita tristezza. Tristezza per la scomparsa di Narciso, tristezza per le sorti di Ercole, ma tristezza anche per Vittorio, Menego, Michele e Stalino, condannati prima a subire la morte e poi a portarsela dentro. In un’estate che i ragazzi avrebbero voluto dedicare solo al gioco e alla libertà, in un’estate che li avrebbe dovuti vedere ancora bambini, Brondolo viene sconvolta dalla scomparta del piccolo Narciso, fratello di Ettore. Al posto di Narciso compare un cane nero che i 5 amici chiameranno Houdini e che reputano essere la reincarnazione dello scomparso proprio come da una leggenda del posto raccontata loro dal nonno Cestilio.
Purtroppo per loro il male, il diavolo, ha mille sembianze, compresa quella del tuo vicino di casa, di chi ti dovrebbe proteggere, di chi dovrebbe essere una guida.
La storia di Brondolo, un piccolo paese come ce ne sono a milioni, viene raccontata da Vittorio, ormai ad un passo dalla pensione. Vittorio, carabiniere a Torino, riceve una lettera in cui c’è un solo foglio di quaderno a quadretti e si trova costretto a riaffrontare il più grande dramma della sua vita ritornando nei luoghi che lo hanno visto bambino, in cerca di una soluzione e di un perdono che aspetta da cinquanta anni.
Mi è sempre difficile parlare di un libro scritto a quatto mani, principalmente perché, nel leggerlo, mi chiedo sempre a chi spetti il merito di una parte o di un’altra. Poi, solitamente, scopro che nemmeno chi lo ha scritto sarebbe in grado di scindere in due l’opera. In questo caso però, ho scoperto di essere riuscito a leggere “L’estate del cane bambino” senza pormi il problema del doppio autore, anzi, il libro è scritto talmente bene da non avermi mai fatto pensare che dientro alla storia ci fossero due menti e non una.
Sì, il libro è scritto bene, molto bene, dannatamente bene e la storia, ve lo dico senza giri di parole, è struggente. E’ una storia emozionante, nel senso che le emozioni che mi ha suscitato non le provavo da tempo e mi ha fatto voglia di riconsiderare alcuni giudizi positivi elargiti nei mesi scorsi ad altri libri che ora mi sembrano piccoli piccoli.
Ho sentito la necessità fisica di leggerlo il più in fretta possibile per paura che mi svanisse dalle mani, e poi, come si addice ad un grande libro, ho centellinato le ultime pagine nella speranza che la sensazione di bellezza non svanisse mai.
Ora, dopo averlo terminato, provo un senso di vuoto, quel vuoto che è imparentato con la perdita delle persone alle quali hai voluto bene.
Concludo con una considerazione personale. La letteratura ha una presa sul pubblico che è quanto di più irrazionale io possa concepire. Il motivo per cui un libro mi scivola sulla pelle, il motivo per cui un libro si insinua tra una costola e l’altra e mi trafigge il cuore, io non lo conosco. Forse non conosco abbastanza me stesso da definire “il motivo” della vita sentimentale di un testo.
Se lo trovasse, o, per essere ottimisti, quando lo troverò, allora saprò perché “La leggenda del cane bambino” ha avuto questo impatto su di me.
Se fossi D’orrico, questa mia recensione smuoverebbe centinaia di copie, forse migliaia. Io mi accontento di smuoverne una, se lo doveste comprare dopo aver letto queste parole fatemi un fischio, mi farebbe piacere, avrei la sensazione di aver fatto un favore ad un amico. Il libro.
Coordinate:
La mia storia d’amore con 66thand2nd (sì, si può avere una storia d’amore con una casa editrice, sì, pure con più case editrici, è l’unico campo in cui ammetto la poligamia) è iniziata nel momento in cui ho scoperto che avevano pubblicato “Shoeless Joe” il libro dal quale hanno tratto uno dei film che amo di più. Da allora il nostro rapporto è stabile, non ha mai subito colpi e non si è deteriorato con il passare del tempo. “L’estate del cane bambino” ha anzi cementato la nostra unione.
Mario Pistacchio è nato a Cerignola nel 1979, Laura Toffanello a Torino nel 1970. Con Il volto del diavolo sono stati finalisti al Premio Solinas «Storie per il Cinema 2010». L’estate del cane bambino è il loro primo romanzo.
Stringata come biografia, vero? Peccato, dopo aver letto un libro così vorresti sapere molto di più su chi lo ha scritto.
E tanto per tornare alla copertina. Il progetto grafico è nelle mani di Silvana Amato, il disegno di copertina (che se non fosse ancora chiaro, io adoro) è di Gianluigi Toccafondo. Se poi mi dite chi ha scelto la carta, delle pagine, ma soprattutto della copertina vi stringo le mani e poi le stringo a lui/lei.