Questa volta tratto argomento serio; ho deciso di scrivere questo articolo dopo aver parlato con diverse persone, tutte più o meno preoccupate da quello che diffondevano i vari mezzi di comunicazione sul virus Ebola. È già molto triste la situazione in Africa, ma è sicuramente più sconcertante il modo in cui i media e le forze politiche abbiano strumentalizzato le notizie sull’argomento. Ho pensato quindi fosse giusto fare un po’ di chiarezza sulla storia e la diffusione attuale del virus. Iniziamo con due link, http://www.epicentro.iss.it/problemi/ebola/ebola.asp – http://www.salute.gov.it/portale/p5_1_2.jsp?lingua=italiano&id=184 a questi indirizzi potete trovare tutte le informazioni dettagliate sul virus con spiegazioni semplici e serie ( i siti è sono cura del centro nazionale di epidemiologia e del S.N.N. ).
Vorrei poi sottolineare tre punti importanti che dovrebbero essere chiari a tutti:
L’Ebola non si trasmette per via aerea. È stato dimostrato che la trasmissione di questo virus, avviene per scambio di fluidi infetti, quindi è necessario un contatto diretto con un portatore della malattia per essere contagiati ( o con oggetti contaminati ); sono stati rilevati alcuni casi in cui il virus è stato trasmesso tramite aerosol (starnuto o tosse) con goccioline disperse nell’ambiente prossimo al paziente. Questo significa che il virus non può sopravvivere per lungo tempo nell’aria e quindi è più facile contenerne la diffusione.
L’epidemia non è esplosa negli ultimi mesi. In realtà, focolai di infezione sono stati rilevati in continuazione dal 1976 ( quando è stata scoperta la malattia ) ma il contagio era di solito circoscritto al villaggio in cui si registrava il primo caso e a pochi villaggi vicini; la maggiore mobilità delle persone ( a causa di guerre e povertà ) ha portato ad una rapida diffusione del virus negli ultimi mesi.
Il virus non è sempre letale. La prima epidemia del 1976 aveva un tasso di mortalità del 90% dei casi ma le successive infezioni si sono presentate diverse percentuali di decessi ( dal 60 al 70 %). In oltre gli stessi medici dichiarano che queste statistiche devono essere inquadrate nel contesto della situazione igenico-sanitaria del luogo di infezione.
Ho voluto chiarire questi tre punti per dare una visione obiettiva della situazione, non sostengo che il virus sia da sottovalutare ( la sua pericolosità è palese ), ma attualmente tutti gli stati stanno prendendo le precauzioni necessarie per ridurre al minimo le probabilità di contagio.
Il pericolo che la malattia si diffonda in europa per l’immigrazione clandestina esiste?
Per rispondere a questa domanda, bisogna ragionare in termini di percentuale di rischio piuttosto che categorici si o no, ci sono delle possibilità che la malattia arrivi in Europa ma bisogna considerare alcune particolarità del virus. In primo luogo non esistono di casi esseri umani di portatori sani della malattia, quindi chiunque è contagiato sviluppa i sintomi e può essere individuato. Inoltre, il tempo di incubazione dell’Ebola è di 2-21 giorni ( la media è di una settimana ) e solitamente i viaggi dei clandestini per arrivare in europa, sia via mare che via terra, durano molto più a lungo rendendo facilmente individuabili i probabili contagiati. Sono quindi sicuramente necessari dei controlli sanitari più attenti alle frontiere, con isolamento di casi sospetti, e un attenta allerta sull’immigrazione clandestina ( protocolli che l’OMS ha già attivato ); ma va considerato che date le zone in cui si è manifestata la malattia e il tipo di trasmissione del virus, il rischio per Italia ed Europa è basso.
Parliamo infine del vaccino, se quello sviluppato in America si rivelerà valido, avremmo un arma molto utile contro la malattia; infatti la struttura genetica del virus non subisce rapide mutazioni ( come ad esempio accade per l’influenza ) e quindi una terapia di prevenzione sarebbe molto efficace per circoscrivere e debellare l’epidemia.
Quello che si può dire con sicurezza è che in Africa le persone stanno morendo ed hanno bisogno di tutto l’aiuto possibile che possiamo dargli tramite i contributi alle ONG e le pressioni sui singoli stati per incrementare le forze sul campo; mai come in questo caso si può dire che aiutando loro aiutiamo anche noi stessi.