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La regina Ginga – José Eduardo Agualusa

by Gianluigi Bodi
La regina ginga, José Eduardo Agualusa, Lindau,

Ci sono dei libri che hanno bisogno di poche parole per portarti all’interno del loro mondo. “La regina Ginga” di José Eduardo Agualusa rientra perfettamente in questa categoria di opere. Basta solo l’incipit per colpire a segno.

La prima volta che la vidi, Ginga guardava il mare. Vestiva panni di gran pregio ed era ornata di bei gioielli d’oro al collo e di sonori bracciali d’argento e di rame ai polsi e alle caviglie. Era una donna minuta, asciutta e, in generale, poco appariscente, se non fosse stato per gli indumenti vistosi che indossava e per l’ampia corte di schiave nere e di uomini armati al suo seguito.

Ecco che subito Agualusa ci presenta la nostra compagna d’avventura. Quella regina Ginga che morirà all’età di ottant’anni nel 1663 dopo una vita di lotte politiche, attacchi e fughe, orgoglio.
Soprattutto orgoglio. Questa è la caratteristica che più colpisce nella regina Ginga. Una donna che vuole essere chiamata Re perché lei è uguale, se non superiore agli altri uomini.
Agualusa ci porta in una mondo duro, crudele. Dominato dai sotterfugi e dalla legge del più forte. Lo fa regalandoci personaggi indimenticabili come il prete Francisco José Da Santa Cruz, che, invero, durante l’arco narrativo avrà qualche difficoltà a mantenere il suo status religioso. Non posso svelarvi se ci sia riuscito o meno, significherebbe rovinarvi una sorpresa.
Pur ambientato a cavallo tra il cinque e il seicento, “La Regina Ginga” è un libro profondamente attuale. Attuale in quanto attinge dall’animo umano che, purtroppo, non è mai cambiato e non ha intenzione di cambiare. Le lotte intestine, i tradimenti, le amicizie fraterne (quella tra il nostro prete e Domingos Vaz, quella con il Moro), il desiderio sessuale, la sete di potere, sono tutti elementi perfettamente riconducibili a qualsiasi epoca e qualsiasi luogo.

Agualusa utilizza la frase in modo magistrale. I suoi periodo sono ampi e articolati, una spirale di virgole ci farà perdere nella giungla inesplorata. Un tale uso della frase, di profondo respiro aiuta ancora di più a percepire il mondo in cui Ginga cammina leggiadra e altera. C’è il sapore della leggenda, il gusto del mito, di quelle storie da tramandare da padre in figlio. Quelle storie in cui l’uomo combatte contro i propri demoni e non sempre riesce a sconfiggerli.
Inoltre, a tratti, sembra che nel leggere questo libro ci si faccia accompagnare da una musica indefinita. Una musica della sostanza del fado e dei canti tribali, una musica da accompagnare con una danza attorno ad un fuoco.

Ottima la traduzione di Gaia Bertoneri. Davvero ottima.

José Eduardo Agualusa, nato a Huambo nel 1960, è uno scrittore angolano figlio di padre portoghese e madre brasiliana. Collabora con varie testate giornalistiche e riviste culturali portoghesi e brasiliane quali «Público», «O Globo», «Ler», «Pais e Filhos». Conduce il programma A Hora das Cigarras (L’ora delle cicale), sulla musica e sulla poesia africane, diffuso la domenica, nelle stazioni radio portoghesi Antena 1 e RDP África. È membro dell’Unione degli Scrittori Angolani (União dos Escritores Angolanos). Ha ricevuto vari riconoscimenti letterari tra i quali il Prémio Sonangol Revelação, Grande Prémio de Literatura RTP, Grande Prémio de Conto da APE e il Premio Fernando Namora. È stato finalista de The Man Booker International Prize 2016.
Le sue opere sono state tradotte in venticinque lingue. Tra i suoi titoli pubblicati in italiano ricordiamo Il venditore di passati (2008), Un estraneo a Goa (2009) e Barocco tropicale (2012).

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