Ho sempre avuto difficoltà nel capire cosa facciano veramente nella vita gli americani. Sono sempre “busy, busy”, come dicono loro, indaffarati nel loro mondo. Sembra siano in grado di fare di tutto, dal cantante al fotografo, modello, scrittore, giocatore di basket, magari anche tutto insieme e contemporaneamente. A questa categoria di persone appartiene anche Jamel Thomas, cestista ma non solo. Jamel, che a Coney Island (Brooklyn) è un’istituzione, ha giocato a livello professionistico in Italia, Turchia e Grecia ed ha anche la passione per la scrittura. Thomas è cresciuto a Coney Island, non proprio la Fifth Avenue per intenderci, e lo ha fatto tra mille difficoltà, a 3 anni infatti sua madre fu uccisa ed il piccolo Thomas crebbe in una famiglia di ebrei.
Conosciuto anche come 530 (l’ora del mattino alla quale rientrava a casa ogni giorno e che si è fatto tatuare sulla caviglia), è il cugino di Stephon Marbury ed il fratellastro di Sebastian Telfair, due che a basket ci sanno giocare ma entrambi accomunati da scelte discutibili che ne hanno condizionato le rispettive carriere. Il primo, dopo aver fatto parte della storia dell’Nba, ha deciso di trasfersi in Cina, dove ha recentemente condotto la squadra alla vittoria del campionato ed è considerato un vero e proprio santone, così tanto che i tifosi gli hanno costruito una statua fuori al campo da gioco. Il secondo invece, considerato ai tempi dell’high-school tra i migliori cestisti del paese, ha deciso di rendersi eleggibile per il Draft Nba senza neanche passare dal college, una scelta forte che però gli vale la chiamata numero 13 al primo giro da parte di Portland. Telfair è ora alla sua nona stagione nella Nba ma la sensazione è che se avesse aspettato ancora un po’, magari un anno di college, forse ora staremmo parlando di un giocatore più maturo.
La storia di Jamel però non passa per l’Nba, ed è un altro duro boccone da mandare giù per il ragazzo di Brooklyn, che dopo una formidabile stagione da senior a Providence conclusa a 22 punti di media, non vede sentir chiamare il suo nome dal commissioner David Stern e nel 2002 ripiega sull’Europa arrivando a Biella. La prima stagione oltre oceano è positiva e Thomas la conclude a 19.8 punti di media a partita, migliorando ancora nel 2004 a Teramo, dove mette a segno 20.2 punti di media. Intervallerà esperienze in Italia (Siena), ad altre in Grecia (Patrasso), od in Turchia (Besiktas), per poi ritornare in Italia di nuovo a Biella e poi a Napoli. E’ proprio il capoluogo partenopeo che segna uno spartiacque nella carriera del cestista di Coney Island.
E’ una stagione difficile per Jamel, che appare più volte svogliato e con la testa altrove, quasi mai nel cuore dei tifosi napoletani. Thomas però proprio a Napoli comincia a scrivere il suo libro, figuriamoci se poteva concentrarsi solo sul basket, cosa che tra l’altro non stava neanche facendo bene. Le sue giornate sono palestra – casa, basti pensare che dall’America si era portato anche un altro suo cugino, tale Joshua Corey Johnson, di professione scrittore (?), ma all’occorenza anche fotografo, che lo aiuterà nella realizzazione del suo obiettivo. La storia del cestista scrittore fa il giro d’Italia, tanto che anche Sky comincia a parlarne. Jamel ha intenzione di raccontare la sua vita e tutte le esperienze vissute, in effetti può sembrare un discorso da megalomani, ma quello che emerge chiaramente è che non dimentica mai chi è e da dove è venuto, tant’è vero che il libro si intitola “The Beautiful Struggle”, ovvero una bella lotta, per il ragazzo che ha lottato ed alla fine ce l’ha fatta. Si definisce “il poeta di Coney Island” e passa le sue giornate a scrivere, magari facendosi anche fotografare nei luoghi più suggestivi di Napoli o girando piccoli filmati da inserire nel dvd di presentazione al suo libro. Ricordo una Domenica mattina di Aprile quando di buon’ora ci recammo al palazzetto per girare una scena, lui tirava a canestro, mentre una ragazza lo avvicinava per ricordargli che aveva perso il suo anello. O di quella volta che ci sottoponemmo ad un vero e proprio servizio fotografico con delle t-shirts da lui fatte stampare per l’occasione. Roba da megalomani, appunto.
La stagione di Napoli però è stata particolarmente difficile per Jamel, e non solo per i scarsi risultati in campo, ma soprattutto per la morte di Mr. Lou, vero e proprio gotha dei playground newyorkesi. Robert Williams, conosciuto come Mr.Lou, aveva passato 36 anni della sua vita ad aiutare ed allenare i giovani prospetti e ragazzi difficili di Coney Island. Il giorno della sua morte nel Novembre 2007, tutti erano al The Garden, anche Stephon Marbury che non si era presentato all’allenamento dei Knicks senza (apparente) motivo. Jamel era molto legato a Mr.Lou, tanto che quest’ultimo era venuto a trovarlo a Napoli ed assistere anche alla partita contro Capo d’Orlando.
Thomas ora, che si è sposato con la sua fidanzata di Brooklyn, ha comprato casa in Pennsylvania ed ha avuto un figlio. Attualmente dispensa i suoi consigli ai più giovani, tra i quali spicca Ethan Telfair, fratello minore di Sebastian, già da tutti soprannominato The King, mentre d’estate, quando la stagione Nba è alle porte, allena Al Harrington, cercando di prepararlo al meglio per la successiva stagione. Jamel è un soggetto particolare, tale da indossare una tuta all’1 di notte di un Mercoledì di Giugno ed andare a correre per le vie di Pozzuoli, nonostante il giorno dopo alle 5 del mattino dovesse partire per l’America. Ma guai a contraddirlo, l’ho provato in prima persona.