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Riccardo Duranti è il traduttore di tutta l’opera di Raymond Carver. E di Omaggio alla Catalogna. E di tanti altri romanzi. E raccolte di poesie. E poi ci sono quelle che scrive lui, di poesie. E i racconti. Ah, è anche editore. Insomma, potrei fargli domande a non finire. Ma temo che non ne sarebbe molto contento, così ho scelto un tema su cui incentrare l’intervista: la poesia. E anche limitando il campo, mi sono trovata davanti a tanti Riccardo diversi: il traduttore, il poeta (in italiano e inglese), l’editore. E il Riccardo olivicoltore, forse il più affascinante di tutti.

Partiamo, appunto, dal Riccardo traduttore di poesia: c’è un aspetto del testo originale a cui non vuoi rinunciare per nessun motivo? Penso al ritmo, al suono, alle immagini… O dipende di volta in volta dal testo che hai davanti?

Dipende dal testo, ma ci sono delle costanti. Certe caratteristiche dei versi sono così intimamente connesse con la cultura di provenienza che ci si sforza di riprodurle, ma è un’impresa disperata. Per esempio, nessuno, in nessuna lingua riesce a riprodurre pari pari il ritmo e l’intonazione della poesia russa e si procede quindi per approssimazione, per inclusione di alcuni aspetti fondamentali del senso dell’originale, ricorrendo all’arsenale fornito dalla propria tradizione poetica e usandolo secondo la propria sensibilità. Quando do la mia personale e paradossale definizione della traduzione, “Una cosa impossibile che si può fare”, intendo proprio questo: si fa quel che si può nel portare avanti un compito impossibile perché l’equivalenza perfetta coincide solo con il testo originale. Certo, mi sforzo di riprodurre ritmo, suono, immagini nelle mie versioni, ma la cosa che mi interessa preservare e trasmettere più di ogni altra, in una traduzione, è l’energia dell’originale che risulta sì dalle singole componenti del testo, ma anche le trascende. Per esempio, questo comporta anche lo scarto dalla tradizione precedente, il grado di originalità, di autonomia che la poesia raggiunge a partire dalle proprie esigenze interne. Questo fattore per me è determinante sia per farmi piacere il testo, sia per investire i miei sforzi al fine di riprodurlo nella mia lingua.

E questo vale anche nella mia scrittura personale e deriva da una dialettica stabilita sin dall’infanzia con le filastrocche che mi recitava mia madre: mi affascinavano, mi aprivano la porta a un mondo espressivo altro, ma intuivo che quei ritmi, quei metri non soddisfacevano le mie esigenze espressive e che quelle dovevo plasmarle secondo altri criteri che si formavano e si sostanziavano da quello che avevo da dire.

Invece, al Riccardo poeta vorrei chiedere se c’è un’influenza diretta tra quello che traduci e quello che scrivi o se li consideri due processi distinti. Per esempio, ti capita mai di utilizzare in un tuo testo, inconsciamente o no, un termine o un’immagine che hai incontrato traducendo o viceversa?

Probabilmente sì, ma non ne sono consapevole. Certo tutta la poesia, in diverse lingue e in diverse traduzioni italiane, che ho letto in vita mia contribuisce a influenzare in qualche modo la mia scrittura, ma più in termini generali che a livello di singole parole o immagini. Il processo d’ispirazione è talmente complesso e collegato a fattori inconsci mescolati con dati oggettivi che credo sia difficile determinare influenze dirette e riconoscibili. E poi, ho sviluppato negli anni una specie di sesto senso per cui se un verso me ne ricorda consapevolmente un altro che ho letto da qualche parte, cambio subito il verso e la direzione della poesia.

Curiosando su internet, mi sono imbattuta in The Archer’s Paradox. Questo è forse il Riccardo che mi ha colpito di più: come mai hai deciso di scrivere un libro di poesie in inglese? Il processo creativo è stato lo stesso di quando scrivi in italiano?

The Archer’s Paradox è una plaquette pubblicata a Londra nel ’91, ma non è il solo mio libro che contiene poesie scritte direttamente in inglese. Già Bivio di voce (dell’87) contiene dei testi inglesi e anzi, il titolo è ispirato proprio a questa diglossia per cui l’ispirazione può imboccare una o l’altra lingua. Anche in Meditamondo (2013) tornano poesie in inglese, tradotte poi in italiano col testo a fronte. Ho cominciato a scrivere in inglese nei primi anni ’70, durante un soggiorno-studio negli Stati Uniti. Anzi, il fenomeno è strettamente legato con il processo traduttivo. In gioventù scrivevo in italiano, ma con tutti i condizionamenti e le remore che avere 700 anni di tradizione poetica italiana alle spalle comporta. La scoperta della poesia anglofona è stata per me una rivelazione: c’era la possibilità di scrivere in maniera più libera. Il senso di esilarante liberazione che deriva dallo scrivere in una lingua-amante piuttosto che nella tua lingua-madre ha nutrito per anni la mia poesia. L’ulteriore scoperta che poi quel senso di liberazione può anche trasmettersi alla lingua-madre e non solo sopravvive, ma si moltiplica attraverso la traduzione, ha fatto sì che ancora adesso alterno le due lingue per esprimermi, sia in prosa che in poesia. Dipende dalle circostanze e dagli interlocutori, dai sogni che faccio e dal perlage di parole che si mette a cavitare nel mio inconscio.

Come dicevo, c’è anche il Riccardo editore: ti va di raccontare un po’ di Coazinzola Press? Come ti è venuta l’idea, che cosa bolle in pentola, come ti fai conoscere…

L’idea l’ho covata per tutti i quarant’anni che ho trascorso in contatto con l’editoria, prima e sempre come lettore, poi anche come critico, insegnante di letteratura, traduttore, editor/revisore, animatore di corsi di scrittura creativa, scrittore. Non ho potuto far meno di rendermi conto che accanto agli evidenti aspetti positivi c’erano anche molti difetti nel sistema. Per sintetizzare al massimo: nel circuito scrittura-lettura l’elemento di mediazione costituito dall’editore ha sempre più teso, negli anni, ad arrogarsi prerogative di egemonia e controllo sugli altri due poli. In nome del proprio preponderante potere economico, gli editori, dopo essersi ridefiniti manager, hanno cominciato a imporre agli scrittori cosa scrivere e ai lettori cosa leggere, cioè le cose da cui l’industria da loro rappresentata poteva trarre un profitto sicuro. Secondo me, è stato questo che ha provocato la crisi della lettura in cui ci dibattiamo ora: la sostituzione di parametri quantitativi a quelli qualitativi ha portato a un calo evidente di questi ultimi.

Bene, in modo donchisciottesco e facendo ricorso alle cose imparate in tanti anni di frequentazione del mondo del libro, ho messo in piedi questo progetto di una micro-casa editrice che cerca testi originali e non riconducibili a generi e li pubblica a proprio rischio e pericolo, senza chiedere contributi agli autori, né condizionandoli in alcun modo, basandosi esclusivamente sui propri criteri di gusto, scommettendo sull’esistenza di qualche lettore li condividerà, e sottraendosi ai circuiti parassitari della distribuzione (che molto spesso coincidono con gli editori di cui sopra).

Finora ho pubblicato quattro libri di poesia (tre di autori italiani e uno in traduzione, le straordinarie Collected Poems di John Berger), due romanzi (uno di un’esordiente, Stella Sacchini, Fuori posto – e per inciso è il nostro bestseller – e uno di uno straordinario veterano, Fabio Ciriachi, Uomini che si voltano, un romanzo a racconti), un catalogo d’arte e un dizionario del dialetto della zona in cui abito. Le difficoltà di vendita sono enormi, gli investimenti pubblicitari pressoché nulli in quanto i costi sono proibitivi; tenere la testa fuori dall’acqua melmosa dei debiti è difficile, ma finora bene o male, ce l’abbiamo fatta.

In pentola sobbolle una potentissima raccolta di poesie in dialetto trapanese e altri progetti di poesia e di prosa. La pubblicità è limitata per ora al Web (https://www.facebook.com/CoazinzolaPress/https://www.coazinzolapress.it ) e al circuito di vendita di Amazon.it. Il rapporto con le librerie è difficile (ho un sacco di copie in conto vendita, ma quasi nessuna libreria sembra pagare o fare rese; evidentemente, sono ancor più in crisi degli editori). Insomma, contiamo più che altro sul passaparola e la diffusione militante.

Finché ce la facciamo e con il sostegno di un nucleo ristretto di lettori andremo avanti. Intanto la soddisfazione di aver pubblicato dei bei libri permane e ci incoraggia ad andare avanti.

 

Grazie a tutti i Riccardo (ormai la schizofrenia impera)!

 

Riccardo Duranti ha insegnato a lungo Letteratura Inglese e Traduzione Letteraria alla Sapienza. Ha ricevuto il premio nazionale per la traduzione nel 1996 e il premio Catullo nel 2014. Ha tradotto l’opera omnia di Raymond Carver e autori come John Berger, Philip K. Dick, Cormac McCarthy, Michael Ondaatje, Nathanael West, Richard Brautigan, Caryl Churchill, Elizabeth Bishop, Henry David Thoreau, Edward Bond. Tra i suoi libri di poesia: Bivio di voce (Empirìa, 1987), The Archer’s Paradox (The Many Press, 1993), L’affettuosa fantasia (Aracne, 1998), Made in Mompeo, haiku e immagini (con Rino Bianchi, Corbu, 2007) e Meditamondo (Coazinzola Press, 2013). A dicembre Ianieri pubblicherà un suo libro di racconti: L’orsacchiotto Carver e altri misteri. Vive sui Monti Sabini dove gestisce la Coazinzola Press e un uliveto.

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