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Intervista a Silvia Bellucci, addetta stampa.

by Gianluigi Bodi

Ciao Silvia, che ne dici se prima di partire con le domande ti presenti ai nostri lettori? Loro non sanno di quante cose ti occupi e che dormi due ore per notte.

Ciao Gianluigi, prima di tutto ti ringrazio e non ti nego che questa chiacchierata mi imbarazza un po’, di solito parlo tanto, anche con i muri, ma parlare di sé è un’altra cosa.

Una mia amica libraia spesso mi prende in giro dicendo: “Ciao, sono Silvia e non rispondo a una mail da tre minuti, scusate mi sta suonando il telefono…”, lei esagera ma ha le sue ragioni, sarebbe divertente iniziare così a parlarti di ciò che faccio.

Lavoro come addetta all’ufficio stampa free-lance per due case editrici molto diverse tra di loro: una è Caravan Edizioni, si trova a Roma, è nata nel 2010 e ha come principale progetto editoriale quello di pubblicare giovani autori sudamericani. Anche l’altra realtà della quale mi occupo è nata nel 2010, ma in modo del tutto diverso: Valigie Rosse è il braccio poetico del più noto premio musicale Premio Ciampi Città di Livorno. Il progetto iniziale di Valigie Rosse, che ancora oggi sta andando avanti, è quello di premiare con la pubblicazione ogni anno due poeti, uno italiano e uno straniero. Nel caso dell’italiano si tratta di un “primo premio alla carriera”, scegliamo di premiare un giovane scrittore già affermato; nel caso del premiato straniero si tratta di un poeta molto conosciuto in patria ma alla prima traduzione italiana. Solo nel 2013 abbiamo iniziato a pubblicare narrativa, con la collana Gli Asteroidi. Valigie Rosse è una casa editrice sui generis, è un progetto no-profit che mira a essere un catalizzatore di idee.

Da qualche mese mi sono imbarcata con Exorma Edizioni e per loro gestisco l’ufficio comunicazione, lavorando dall’interno. Exorma si occupa principalmente di letteratura di viaggio, ma non solo ed è l’editore del Festival della Letteratura di Viaggio di Roma.

L’anno scorso, grazie al progetto A Tribute to Scotty Pone’s Fiumicino premiato con il Premio Ciampi L’Altrarte, cugino artistico di Valigie Rosse, ho conosciuto Federico e Nicola della Cappuccino Records, un’etichetta livornese che produce dischi solo in vinile. Questa estate, complice qualche birra di troppo davanti al bellissimo mare di Livorno, mi hanno chiesto di entrare a far parte della squadra come ufficio stampa e io ho detto di sì.

Ecco,  diciamo che questo è quello che faccio, nel tempo libero mi annoio.

Qual è il percorso che ti ha portata a diventare addetto stampa?

È stato un processo particolare, non era una figura professionale che ho avuto sempre ben presente, ho capito pian piano che mi interessava occuparmi dell’ufficio stampa. Durante gli anni dell’università non avevo ben chiaro quello che volevo fare, studiavo lettere ma non ho mai pensato di voler insegnare; collaboravo con un quotidiano locale, mi occupavo di cultura ed eventi, ma poco dopo ho capito che mi piaceva di più stare a parlare con gli organizzatori e seguire le conferenze stampa piuttosto che scrivere gli articoli. Nello stesso periodo lavoravo come bibliotecaria a Vicopisano, un piccolo borgo medievale nella provincia di Pisa, un paesino ma con una biblioteca fornitissima e attenta anche agli editori indipendenti. Diciamo che a un certo punto ho mixato insieme tutte queste cose e ho deciso di fare un master in editoria e comunicazione a Roma. Poco dopo ho iniziato a collaborare con un associazione organizzando eventi culturali e occupandomi della comunicazione. Un giorno, durante la presentazione di una raccolta di poesie di Giacomo Trinci, Valerio Nardoni – direttore della sezione di poesia di Valigie Rosse – mi ha chiesto se volevo occupandomi dell’ufficio stampa di Valigie Rosse.  Poi è arrivato un Caravan e mi ha riportata a Roma…

Quali sono gli aspetti positivi e quelli negativi del tuo lavoro? Condivideresti con noi un momento di esaltazione nel quale di sei detta che eri esattamente dove volevi essere?

Gli aspetti positivi sono senza dubbio il conoscere sempre realtà e persone nuove, cercare quotidianamente di reinventarsi a seconda delle varie situazioni e delle diverse necessità. È una condizione molto stimolante, è difficile annoiarsi. Si assiste a tutto quello che è il lavoro di redazione e contemporaneamente si cerca di indagare cosa succede fuori dalla casa editrice per capire dove meglio può andarsi a collocare ciò a cui stiamo lavorando. Si tiene un occhio dentro la redazione e uno fuori, per mettere in relazione queste due realtà. Ci sono senza dubbio momenti più stancanti e quindi ascrivibili forse tra gli aspetti negativi ma fanno parte del gioco. Ti puoi ritrovare a parlare di lavoro in qualsiasi occasione, mentre sei in banca, al bar o alla fermata dell’autobus e gli orari non sono proprio quelli da ufficio. Una gran fetta di questa torta è rappresentata dagli eventi: presentazioni, fiere, saloni e festival; per quanto gli spostamenti e i ritmi siano snervanti sono sempre momenti d’incontro divertenti e interessanti.

Ogni volta che esce una qualche notizia sul nostro lavoro c’è sempre quell’emozione mista ad apprensione un secondo prima di iniziare a leggere o ascoltare cosa dicono di noi, sarebbe sciocco negare che premi o bei riscontri sulle pubblicazioni non mi hanno gratificata, la recensione che non ti aspetti, quella che salta fuori dal giornale –  magari la domenica, quando con gli occhi ancora appiccicati dal sonno stai bevendo il caffè – è un vera epifania per un addetto stampa (19 aprile, in un Autogrill poco fuori Roma); oppure un autore che viene invitato all’estero per la giornata internazionale della Lingua Italiana.

Che sono dove voglio essere lo so, e l’esaltazione c’è, tra i mille #sclerieditoriali, tutti i giorni, è un ingrediente indispensabile in un settore così in crisi.

Un momento molto emozionante è stata la prima (e unica al momento) presentazione di Cimettolafaccia (Valigie Rosse 2014) che siamo riusciti a fare alla presenza dell’autore, Costanzo Ferraro. Banalmente era una delle presentazioni più facili da organizzare: nella città di residenza di Costanzo, in un Caffè Letterario. La disabilità che accompagna Costanzo Ferraro dalla nascita gli rende però difficile ogni spostamento, nonostante la sua energia vulcanica. La possibilità, dopo un anno dall’uscita del libro, di poter finalmente vedere Costanzo parlare, anche se con immensa difficoltà, del suo libro è stato uno dei momenti più emozionanti che abbia mai vissuto, indipendentemente dal contesto lavorativo. In quel momento, in quel caffè di Pisa, ero dove volevo essere, come persona prima che come addetta all’ufficio stampa.

Di quale libro del passato di piacerebbe curare l’ufficio stampa?

“Il mar delle blatte” di Tommaso Landolfi. Il perché mi sembra scontato.

Cosa volevi diventare quando eri piccola?

No, Gianluigi, questa domanda non dovevi farmela! Volevo fare il carabiniere con il grado specifico di Maresciallo. Ti lascio solo immaginare la felicità di mio padre che nei primi anni ’70 si era battuto per l’obiezione di coscienza.

E ora una bella domanda banale per concludere. Cosa consiglieresti ad una persona che vuole intraprendere il ruolo di addetto stampa? Ci sono dei segreti da svelare? Dei riti propiziatori?

Prendi un editor, sei giorni prima della pubblicazione fai sì che l’insegna della casa editrice gli cada in testa  e poi, tramortito, cospargilo con i fogli della correzione di bozze mentre danzi in onore a Ciano, protettore della stampa… a parte gli scherzi, se ci sono segreti spero di scoprirli quanto prima, l’unica cosa che posso dire a chi vuole intraprendere questo percorso è che si tratta di un lavoro stimolantissimo e mai banale. Credo che, se un segreto c’è, stia nell’essere curiosi, ma questo penso valga un po’ per tutti i lavori.

P.S.: il caffè non è mi abbastanza

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